Una delle questioni calde nella riforma sulla scuola, che per la prima volta vedrà insieme praticamente tutti i sindacati, per ragioni comunque non sempre convergenti, nelle azioni di contrasto e lotta, è certamente quella dei 36 mesi. Ora, era evidente prima, cosa che avevo anche denunciato esattamente nel 2012, e lo è a maggior ragione ora, che lo Stato certamente non può perseverare in una condizione di illiceità.
Effetto collaterale dei ricorsi? Non proprio. Però una riflessione va fatta. Se pretendi diritti, il sistema, che viola la normativa comunitaria, che nello stesso tempo garantiva sì un precariato costante, ma anche un minimo posto di lavoro ecc, ti dice, ora non possiamo più continuare come prima, d’altronde avete voluto eccepire l’illegittimità della situazione in essere? Queste le conseguenze. Nello stesso tempo, si coglie l’occasione per riformare totalmente la scuola, prevedere una nuova figura di docenti e così via discorrendo.
Avrebbe potuto e dovuto lo Stato assumere almeno i ricorrenti senza mutare lo stato delle cose? Sì. Avrebbe potuto, lo Stato, continuare a perseverare in una condizione di illiceità? No. O meglio, in un certo senso sì, ma ciò avrebbe comportato l’effetto del pagamento di sanzioni, irrisorie in via di massima, ma sempre significative, e l’intasamento dei Tribunali. Che nella scuola si debba entrare per concorso pubblico, è un concetto che io, personalmente, difendo e difenderò, così come difendo il concetto che chi ha superato i limiti di “tolleranza” in tema di precariato nella scuola, ha diritto alla stabilizzazione.
Ora, il fatto che il Governo dica che nella scuola non si possono superare più i 36 mesi è ovvio, una ovvietà che si scontra con quella norma del 2011, entrata in vigore nel 2012 che dice in sostanza che nella scuola i limiti dei 36 mesi non si applicano, non si applicano le sanzioni in caso di superamento, e neanche misure risarcitorie. Inghippo che comporta il panico, comprensibile.
Ora, visto che le cose così avanti non possono andare, una so luzione intermedia ci sarebbe. E la si può ritrovare all’interno della stessa norma madre di riferimento, il D.L. 6 settembre 2001, n. 368, che se modificato ed integrato, pro tempore, a dovere, potrebbe consentire, a coloro che hanno superato i 36 mesi, anziché l’automatica espulsione, una proroga, o meglio una deroga.
Una proroga, oggi come sussistente chiamata deroga assistita, adattando il D.L. citato, alla situazione scolastica, potrebbe essere prevista per un periodo cospicuo, che consentirebbe da un lato la possibilità di evitare licenziamenti di massa, e dall’altro la possibilità di cercare soluzioni finalizzate a salvaguardare per quanto possibile i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola.
Marco Barone