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Quota 100 addio col Governo M5S-PD: il prezzo da pagare per evitare l’aumento dell’Iva e le bacchettate di Bruxelles

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Il rinnovo di Governo, con il probabile affiancamento del Pd al M5S, potrebbe essere fatale per la conferma dell’anticipo pensionistico “Quota 100”: la notizia, dopo quanto trapelato a seguito del tavolo programmatico tra le due forze politiche svolto domenica 25 agosto, nelle ultime ore sta circolando con sempre maggiore insistenza.

Tutta colpa della manovra 2020 “lacrime e sangue”

In sostanza, ci sono diversi elementi che fanno pensare alla fine anticipata della disposizione che quest’anno ha permesso ad oltre 20 mila docenti, Ata e dirigenti scolastici di lasciare la scuola da uno a cinque anni prima rispetto ai rigidi parametri introdotti dalla riforma Monti-Fornero.

Innanzitutto, si parte dal presupposto che l’anticipo a 62 anni di età, associato ad almeno 38 anni di contributi, è stato voluto più dalla Lega che dai “grillini”.

Ed essendo la prossima Legge di Bilancio, una manovra necessariamente “lacrime e sangue”, sia per scongiurare l’aumento dell’Iva, sia per l’occhio vigile e critico con cui la guarderà la Commissione Europea, che ha sempre in “canna” la procedura d’infrazione per via dell’eccesso di debito pubblico, il risparmio di sei-sette miliardi di euro farebbe molto comodo al nuovo Esecutivo.

Una misura impopolare

Certamente, la misura sarebbe impopolare. Ancora di più perché il M5S sino a qualche settimana fa, attraverso il suo leader politico Luigi Di Maio, sosteneva che “Quota 100 non si tocca”.

Soprattutto perché sono tanti i lavoratori, docenti e Ata, che avevano nel prossimo biennio già messo in conto di andare in pensione attraverso il dispositivo normativo introdotto e coperto economicamente (fino al 2021 compreso) con l’ultima ex legge Finanziaria.

Con il nuovo Governo, più attento ai conti pubblici, rischierebbe pure il Reddito di cittadinanza (che però a differenza di ‘Quota 100’ non ha scadenze ma è una misura permanente): non di sparire, ma verrebbe ridimensionato, con i “paletti” di accesso destinati a salire e le procedure di proposte di lavoro che avanzerebbero a ritmi forzati (ricordiamo che, anche se vi sono delle eccezioni, dopo la terza rinuncia il beneficiario del Reddito di cittadinanza perde il diritto all’assegno).

Rimarrebbero in vita solo le uscite precoci e con Ape Social

Una soluzione, ma non per tutti, sarebbe comunque a portata di mano: si tratterebbe di confermare l’uscita agevolata a 63 anni, già garantita dall’Anticipo pensionistico (Ape social). Solo che si tratterebbe di una disposizione limitata a pochi dipendenti e, soprattutto, legato a particolari professioni: nella scuola, ad esempio, solo ai maestri della scuola dell’infanzia, oltre che le educatrici degli asili nido.

Assieme al mantenimento di quota 41 per i soli lavoratori precoci, non si tratterebbe altro che della conferma di una disposizione in atto, riservate ad una stretta cerchia di lavoratori.