Nella serata di giovedì 17 gennaio, il Consiglio dei ministri ha approvato il ‘decretone’ su reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni: la riunione è stata molto veloce, appena mezz’ora, a conferma che gli accordi erano stati presi in mattinata. Ora, il doppio provvedimento – il cui testo definitivo non è ancora stato pubblicato – dovrà essere convertito in legge dalle Camere entro 60 giorni.
Il ritiro dal lavoro sarà possibile, in prima applicazione, dal primo aprile 2019 per i lavoratori privati che abbiano raggiunto i requisiti indicati entro il 31 dicembre 2018 e dal primo agosto 2019 per i lavoratori pubblici che li abbiano maturati all’entrata in vigore del decreto.
Cosa prevede il decreto
Oltre a quota 100, il decreto prevede, la possibilità, solo per le donne, di andare in pensione in anticipo con 42 anni e 10 mesi di contributi, se uomini, e con 41 anni e 10 mesi di contributi. Maturati i requisiti, i lavoratori e le lavoratrici percepiscono la pensione dopo tre mesi.
Ci sarà anche la possibilità per le donne di andare in pensione a 58 anni se dipendenti e 59 se autonome, con almeno 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018 (Opzione donna).
A passare è stata che l’applicazione degli adeguamenti alla speranza di vita per i lavoratori precoci, che potranno quindi andare in pensione con 41 anni di contributi. Anche in questo caso, il diritto al trattamento pensionistico decorrerà dopo tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti.
Via libera al riscatto agevolato del periodo di laurea entro i 45 anni. Ma anche alla facoltà di riscatto di periodi non coperti da contribuzione, con una detraibilità dell’onere del 50% in cinque quote annuali e la rateizzazione fino a 60 mesi, a condizione di non aver maturato alcuna contribuzione prima del 31 dicembre 1995 e di non essere titolari di pensione.
Le disposizioni in materia di pagamento del trattamento di fine servizio o di fine rapporto prevedono la corresponsione della relativa indennità sulla base di una specifica richiesta di finanziamento da parte degli aventi diritto, con la costituzione di uno specifico fondo di garanzia.
Attivato anche un “Fondo bilaterale per il ricambio generazionale”, che prevede la possibilità di andare in pensione tre anni prima di quota 100 purché si abbia una contemporanea assunzione a tempo indeterminato.
Conte: un milione di lavoratori in tre anni
Più che soddisfatto dell’esito dell’approvazione in CdM il premier Giuseppe Conte: nella conferenza stampa a Palazzo Chigi di presentazione del decreto, ha detto che questa è “una tappa fondamentale per questa esperienza di governo: è la dimostrazione che questo Governo gli impegni li mantiene”.
Abbiamo approvato “due misure che non rispondono a estemporanee promesse elettorale, ma costituiscono un progetto di politica economica sociale di cui questo governo va fiero”.
Abbiamo detto sì, ha continuato Conte, ad “un progetto che riguarda cinque milioni di persone che si trovano in povertà e un milione di persone che potranno andare nel triennio in anticipo in pensione”.
Salvini: nessun adeguamento alla speranza di vita
In attesa di prendere visione del testo approvato, è il ministro dell’Interno Matteo Salvini ad annunciare le novità approvate: “Non c’è nessun adeguamento alla speranza di vita (riferendosi ai cinque mesi che sono scattati a fine 2018 e che avrebbero dovuto innalzare l’uscita dal lavoro sia della pensione di anzianità sia di quella di vecchiaia n.d.r.), c’è la possibilità di riscattare in maniera agevolata gli anni della laurea, sono tutelati i comparti delle forze dell’ordine”.
Ma l’accordo raggiunto più importante riguarda la buonuscita degli statali, quindi anche di docenti, Ata e dirigenti scolastici: ci sarà “subito la liquidazione per il settore pubblico, 30 mila euro cash“, ha detto il vicepremier.
A spiegare meglio la consistenza del provvedimento sul Tfr è stata, con un tweet, la ministra per la Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno: “Dopo anni di lunghe attese, finalmente i dipendenti pubblici – ‘quotisti’ e non – che andranno in pensione avranno subito 30.000 euro di Tfr/Tfs, con interessi al 95% a carico dello Stato. Lavoreremo per aumentare la cifra, fino a 40-45.000 euro. Un risultato storico!”.
Assegno di pensione: no tagli, sì decurtazioni
Per quanto riguarda la consistenza dell’assegno di pensionamento da accreditare a chi aderirà a quota 100, invece, bisogna ancora attendere qualche giorno: con quota 100, ha ribadito, “non c’è nessuna penalizzazione e nessun taglio, sarà una libertà di scelta”.
In effetti, non ci saranno tagli, ma decurtazioni (anche del 20% o forse più) derivanti dal mancato gettito nelle casse dell’Inps degli ultimi anni di lavoro: il “montante” dei contributi, in pratica, si ridimensiona e produce un assegno ridotto.
In tutto, il doppio provvedimento è costato allo Stato diversi miliardi: “Soldi veri: 22 miliardi di euro”, ha detto ancora il vice presidente del consiglio, riferendosi alla valenza il ‘decretone’ su reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni.