Chi vuole approfittare del pensionamento anticipato “Quota 100” farebbe bene cominciare da subito a fare i calcoli degli anni di contributi accumulati durante la carriera per usufruirne l’anno prossimo: salvo improbabili ripensamenti, infatti, la formula dei 62 anni minimi e i 38 anni di contributi riconoscibili, terminerà con la sua scadenza triennale naturale prevista dal decreto 4/2019 convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26 (in G.U. 29/03/2019, n. 75).
Il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta (Pd) ha tenuto a far sapere che la sperimentazione “Quota 100” sarà confermata anche l’anno prossimo, quindi per la terza annualità consecutiva (con le domande che si produrranno tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021).
Fonti del Governo hanno però anche ammesso che la norma, voluta dalla Lega e assecondata dal M5S, terminerà nel 2021: la linea sulle scelte sulle pensioni è quella di puntare alla “sostenibilità di lungo periodo” garantendo tenuta dei conti e “rispetto per l’equità intergenerazionale”. In parole povere, il tempo degli “scivoli”, seppure onerosi per chi li acquisisce perché si vede tagliare anche sensibilmente l’assegno pensionistico, dovrebbe essere giunto al capolinea.
Per il 2022 dovrebbe essere varata una riforma del sistema previdenziale che premierà principalmente solo chi potrà vantare oltre i 41-42 anni di contributi.
Quindi, sostanzialmente, i requisiti pensionistici richiesti al lavoratore che intende lasciare il servizio in anticipo saranno maggiori: una necessità dettata dal fatto che l’Italia non può permettersi di mantenere uno stato sociale superiore alle sue possibilità.
Vi sono anche delle motivazioni d’oltre confine a “spingere” per la fine del sistema “Quota 100”: l’Unione Europea non ha mai nascosto la sua ritrosia all’aumento della spesa previdenziale ed ora che deve ripartire i 750 miliardi di euro di Recovery Fund (all’Italia dovrebbero andare circa 170 miliardi) pretende precise garanzie.
A farlo intendere sarebbe stata anche direttamente la cancelliera tedesca Angela Merkel rivolgendosi al nostro presidente del Consiglio Giuseppe Conte: il capo del Governo tedesco abbia rivelato che vi sono alcuni Paesi membri (come l’Olanda, l’Austria e la Svezia) che non vedrebbero di buon occhio la fornitura di così tanti soldi verso l’Italia, considerata terra di sanatorie e deroghe alle leggi.
Il timore è che nel nostro Paese, insomma, i miliardi della ripresa dopo il lockdown possano essere in qualche modo dilapidati. E il mantenimento in vita di “Quota 100” andrebbe a confermare questo “copione”. Che non ci possiamo più permettere.
A spingere verso la fine di Quota 100, infine, ci sono anche uno studio sui pensionati che arriva dal Forum Pa, l’appuntamento annuale sulla macchina statale, giunto alla sua trentunesima edizione: la ricerca nazionale rileva che nella PA tra poco, dai ministeri alla scuola, i pensionati supereranno gli attivi.
Oggi nel pubblico impiego, a fronte di 3,2 milioni di dipendenti in carica, ne abbiamo 3 milioni a riposo.
Proprio con la spinta alle uscite anticipate data da ‘Quota 100’, molto presto il sorpasso sarà cosa fatta.
D’altra parte, tra i lavoratori statali, sono oltre mezzo milione coloro che hanno superato i 62 anni, praticamente uno su sei. E ce ne sono altri duecentomila, quasi, che hanno raggiunto i 38 anni di anzianità.
L’anno scorso, approfittando della somma dei 62 anni minimi e i 32 di carriera, sono andati in pensione circa 90 mila dipendenti pubblici (di cui un terzo circa nella scuola). Altrettanti lo faranno pure quest’anno, almeno stando alle “patiche” in lavorazione presso l’Inps.
Le assunzioni continuano invece a latitare. Anche nella scuola, visto che a fronte di oltre 100 mila immissioni in ruolo nell’ultimo biennio ne sono state realizzate solo la metà, a causa delle tante graduatorie con classi di concorso esaurite e dei concorsi che tardano a compiersi: considerando i pensionamenti ordinari, per vecchiaia e anzianità, non si è coperto nemmeno il turn over.
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