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“Quota 96”: la Consulta non si esprime sul merito. Il parere del giudice

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La Corte Costituzionale, in merito alla richiesta avanzata ad agosto 2012 con l’ordinanza di rimessione del giudice del lavoro di Siena per una ricorrente di Quota 96, rilevando «un’evidente incertezza della richiesta», adduce che non può pronunciarsi per una «sentenza additiva» e rigetta la questione di «legittimità costituzionale» dell’art. 24. In sostanza censura il modo in cui il giudice suddetto ha elaborato l’ordinanza, a suo dire formulata malamente e non priva di una certa contraddittorietà. Il giudice senese non avrebbe spiegato – e in ciò consisterebbe il suo torto – quale sarebbe stata l’utilità pratica dell’abrogazione della norma Fornero. Si sa che la Consulta, quando rileva questioni pregiudiziali, non entra mai nel merito delle questioni sollevate. L’ordinanza in questione, in particolare, secondo l’alta Corte, «presenta un petitum incerto» nella sua enunciazione poiché non chiarisce se alla stessa venga chiesta una pronuncia di illegittimità costituzionale che «cancelli integralmente la norma censurata» oppure una «pronuncia additiva» che la lasci in vigore ma «con le necessarie correzioni».
 La Consulta osserva poi che, «a prescindere dal dato obiettivo per cui la disposizione censurata è entrata in vigore prima che la ricorrente nel giudizio a quo maturasse il diritto al conseguimento della prestazione pensionistica», l’ordinanza del Tribunale ordinario di Siena non ha tenuto conto dell’anno in più previsto dal decreto legge di ferragosto del 2011, il n. 148, che aveva modificato la legge 449/97 posticipando di un anno il pensionamento dei lavoratori della scuola. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 24 posta dal giudice senese viene pertanto giudicata, per queste ragioni di ordine strettamente formale, «manifestamente inammissibile».
 Si esime dall’intervenire nello specifico con qualsivoglia ragionamento esprimendosi solo sulla «forma» e non sulla «sostanza» dell’ordinanza; dichiara che le «è preclusa la possibilità di pronunciare sentenze additive di contenuto discrezionale»; lascia infine inevasi, purtroppo, sia il problema del dies ad quem, che tanto interessava i lavoratori della scuola interessati, sia quello della disparità di trattamento pensionistico fra settore pubblico e privato.
Da quanto possiamo capire dietro le righe c’è forse la volontà di non decidere o, come dire, aggiungiamo noi, di lavarsi le mani su tale spinosa querelle. Non c’è in ogni caso, a nostro modesto avviso, alcuna bocciatura del diritto violato dei Quota 96 della scuola. La spiegazione finale porta la Consulta ad adottare una scelta diplomatica e salomonica che salva la legge Fornero da ogni attacco costituzionale schivando ogni effetto emulativo da parte di altri settori pubblici. Si attiene alla forma dell’ordinanza, vorremmo aggiungere, senza andare oltre di un millimetro. C’è da dire però che quel decreto n. 148 non ha mai trovato applicazione concreta nella legislazione italiana perché, nel frattempo, era intervenuta la legge Fornero a ridisegnare in toto l’assetto del sistema pensionistico italiano. Resta il fatto che la Consulta, al di là delle sue scelte, ha liquidato il tutto con una NON decisione di fatto. L’unica cosa buona che può derivarne per questi lavoratori beffati è che non si è trattato di una bocciatura della specificità del Comparto Scuola. Significa solo che la palla passa ora nelle mani della politica, se ha intenzione di sanare definitivamente quanto aggirato dalla Consulta e dalle varie Corti dei Conti. Il diritto a pensione è rimasto, se così può dirsi, nel limbo delle rivendicazioni inevase. Resta salvo lo spazio perché si applichi infine correttamente al Comparto Scuola la legge Fornero. Sulla questione della specificità della scuola, infatti, rimasta clamorosamente inevasa dal mondo della giustizia, grava una inspiegabile e gravissima inadempienza politica. C’è un solo modo per rintuzzare questa sentenza: esigere che la politica stessa sani definitivamente la questione. 
Giuseppe Grasso

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La Corte non entra nel merito, perché rileva un aspetto dirimente che rende inutile l’esame della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice di Siena. In pratica, secondo la Corte, anche se la disposizione in contestazione (art. 24, comma 3, DL 201/2011) venisse dichiarata incostituzionale, ve ne sarebbe comunque un’altra (l’art. 1, comma 21, del DL 138/2011) che preclude la possibilità del lavoratore di essere collocato a riposo alla data del 1 settembre 2012, disposizione che il giudice sarebbe chiamato comunque ad applicare e della cui legittimità egli evidentemente non dubita, visto che non ha impugnato tale ultima norma, limitandosi alla prima.
Per di più, aggiunge la Consulta, non è nemmeno chiaro ciò a cui mira il giudice di rinvio perché da un lato chiede che venga introdotto nella norma censurata un meccanismo di gradualità in uscita, ferma restando la data di maturazione del diritto al pensionamento fissato dalla disposizione in contestazione (31.12.2011); dall’altro chiede che tale giorno venga spostato in avanti per i lavoratori della scuola, considerata la peculiarità del settore. E ciò, secondo la Corte, è contraddittorio, dà luogo ad incertezza e rappresenta perciò un motivo ulteriore di rigetto.
Certo si può obiettare che la Corte pecca di cinismo, che il discorso è più complesso e che avrebbe richiesto un approccio diverso, che nel merito nei confronti del “Comitato Quota96” è stata commessa un’ingiustizia perché quando mancavano pochi mesi all’agognato pensionamento la Fornero ha cambiato le carte in tavola, spostando di colpo la data di conclusione del rapporto non di pochi giorni o mesi, ma di svariati anni e ciò senza preoccuparsi di prevedere una disciplina transitoria che graduasse l’entrata in vigore della nuova disciplina.
Vi è da dire però che è lo stesso giudice di rinvio a non parlare di diritto soggettivo bensì di mera aspettativa ancorché legittima nutrita dai lavoratori pensionandi.
E ciò fa la differenza perché se si fosse trattato di diritto soggettivo, come era da supporre inizialmente, le cose sarebbero andate diversamente e forse il giudice avrebbe dato ragione al “Comitato Q96” fin da subito, disapplicando nei loro confronti la norma in contestazione senza nemmeno porsi dubbi di legittimità.
A questo punto però serve a poco dibattere, perché nessun giudice oserà più mettere in discussione la legittimità della disposizione in contestazione, mentre le sentenze della Corte costituzionale non sono impugnabili.
In ogni caso ho sempre pensato, e lo penso tuttora, che il personale della scuola di “Quota 96” ha subito un’ingiustizia ma in questi casi, secondo me, bisogna cercare di essere pratici e quindi coordinarsi con il legale 
Roberto Amorosi