Quota 96: lettera aperta a Simona Malpezzi

Cara Simona Malpezzi,

il 27 luglio scorso ti compiacevi ad apostrofare sulla tua pagina fb, tra l’euforico e l’altezzoso, i riottosi che ancora nutrivano diffidenza sulla soluzione dei Quota 96 della scuola. Ecco le tue parole: «È domenica, lo so, ma ho un piccolo sassolino nella scarpa da togliermi. Vorrei resistere ma, come dice qualcuno, non ho filtri. E quindi: dove sono finiti tutti quelli che fino a pochi giorni fa scrivevano sulla mia bacheca e via tweet che mai e poi mai il Pd avrebbe risolto quota96?… Dove sono finiti? Vi prego, palesatevi…». Eccoci dunque «palesati». E anche arrabbiati neri. Lividi di porte in faccia e di retromarce estenuanti. Però tu taci e non rispondi. Kiara Farigu ti ha mandato un tweet molto emblematico in tal senso che mi piace riportare qui: «Il sassolino che ti sei tolta dalla scarpa 15 gg. fa è diventato un macigno nella mia. @matteorenzi onorerà impegno con decreto ora?».  

Ma come? Sembrava tutto finalmente risolto dopo due anni e mezzo di lotte, con i pareri unanimi delle commissioni Cultura, Lavoro e Bilancio della Camera. Invece siamo stati presi a pedate al Senato come la più infima delle categorie. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine del tuo sorriso sornione alla Camera mentre parla Richetti, in piedi accanto a te,  annunciando la fiducia al decreto Madia e fiero di sottolineare che la vicenda dei Quota 96 è ormai parte integrante di quel decreto. Poi, qualche giorno dopo, nel passaggio rituale del decreto dalla Camera al Senato, arriva la doccia fredda, il tradimento, la vigliaccata dell’ultima ora. Che logica può esserci in questa storia infinita di Quota 96 che ha invece qualcosa di assurdo e reca i segni vistosi dell’ostracismo più vile? Si è trattato di un regolamento di conti? Oppure di che altro? Noi siamo educatori e ci sfuggono gli intrighi orditi nel Palazzo. Vorremmo solo chiarezza e trasparenza. O meglio vorremmo maggior rispetto dei nostri diritti perennemente calpestati. La fiducia, diceva qualcuno, bisogna meritarla con i gesti e con i fatti concreti.

Probabilmente ora tu sarai in vacanza, com’è normale che sia. Il popolo di Quota 96, invece, che non conosce riposo né sosta, non lo è affatto ed è anzi, una volta ancora, sul piede di guerra; soprattutto non può rassegnarsi all’onta che gli è stata inflitta, non può mandar giù una simile carognata. Fa fatica a comprenderla e a rielaborarla. Non se l’aspettava. E dire che parliamo di sessantaduenni e con quarant’anni di contributi sulle spalle. Ma tant’è: la politica non fa sconti a nessuno, figurarsi a chi la mantiene a ingrassare i propri lauti guadagni in parlamento. C’è anche chi, come qualche gazzettiere untuoso o prezzolato, ha cercato di farci passare per parassiti o addirittura per baby-pensionati. Il colmo dei colmi. La beffa delle beffe. La più atroce delle mistificazioni. L’unica cosa positiva in questo tourbillon di cadute, riprese e ricadute è che abbiamo bucato lo schermo e che ora c’è più chiarezza sull’errore madornale di cui siamo stati oggetto con la legge Fornero. Ma non basta! Non può bastare!

L’averci liquidato così frettolosamente al Senato non è cosa tanto facile da digerire. Siamo esausti e inviperiti. Avete fatto carta straccia della nostra esistenza e della nostra dignità. Non potete chiudere un capitolo così spinoso (e così doloroso) con un semplice colpo di spugna. Rien ne va plus! Ricordati che noi saremo sempre la vostra spina nel fianco. E non vi molleremo un istante perché siamo dalla parte della ragione. Siamo nel giusto. Il giudice Imposimato ha scritto pagine memorabili sul nostro caso arrivando al nucleo della nostra sofferenza e la stessa Fornero ha ammesso di recente la sua colpa chiamando in correo la politica tutta a correggere quell’errore.

In questi trenta mesi abbiamo scritto a Bersani, a Renzi, a Serracchiani e a molti altri e, proprio ora che tocchiamo la mèta, avete la spudoratezza di riportarci indietro? Con quale animo pensate di dormire sonni tranquilli? Il sonno della ragione, recita una stampa di Goya, genera mostri. Le tenebre sono onnipresenti e pericolose ma noi confidiamo che le ali della civetta possano trionfare come un segnale di luce. Siamo davvero stufi di guardare sempre indietro e vorremmo vedere cosa c’è oltre il tunnel. Non ne possiamo più di viaggiare in una macchina guardando solo dallo specchietto retrovisore, intenti a coglierci solo come vita senza futuro, come un eterno presente schiacciato nel passato. Dietro i numeri ci sono le persone, non solo i numeri. Ma molti sono ciechi o non hanno sensibilità politica sufficiente. O dobbiamo forse dire che, nei fenomeni tutti italici che accadono all’insaputa di chi li fa, rientra anche l’emendamento di Quota 96? Per questo, come ha replicato oggi Marianna Madia su «Repubblica», il governo «non ha mai dato parere favorevole»? La quale ha aggiunto, dimentica dello spregio ostentato verso i 4.000 lavoratori della scuola, che «alla fine non è stata la Ragioneria dello Stato a decidere che non c’erano risorse per mandarli in pensione ma il governo che si assume la responsabilità di questa scelta». Quindi il governo ha voluto sconfessare espressamente il parlamento sovrano? E perché? Che senso aveva togliere una norma tanto retta e che costava poche risorse quando c’è un orrido catalogo di sprechi e di superstipendi nel nostro paese? La Madia ha poi detto che «Renzi si riserva di valutare la questione nella cornice del pacchetto scuola che sarà varato questo mese» e che la nostra vicenda «lascia l’amaro in bocca».

L’amaro in bocca a chi, Malpezzi? La verità è che la ministra Madia, invece di aiutarci dopo il lungo calvario che abbiamo sofferto, ha preferito sacrificarci sull’altare di chissà quali categorie o di chissà che benemeriti diritti. Peccato che i fondi per pre-pensionare i giornalisti “in crisi” (che non sono affatto dei dipendenti pubblici) siano stati trovati. E infatti al Senato la norma su Quota 96 è stata soppressa, non quella sui prepensionamenti ai giornalisti, però. Ora urge un decreto, anche di un solo articolo, che risolva definitivamente la nostra vicenda «sospesa» con la quale il tuo partito si sta giocando non solo la credibilità (e la faccia) ma la propria dignità etica e politica.

Come spiegherai a chi ha creduto in te e nel tuo partito che il Pd, che ha fatto una battaglia dei diritti della scuola, ha abbandonato 4.000 lavoratori nella morta gora dell’oblio? Non è più possibile gettarsi la sabbia sugli occhi per non vedere. Non si può più dopo quanto accaduto, ragionevolmente, far finta di niente e tornare allo status quo. C’è bisogno di rimediare. E anche in fretta. Come si è potuto tanto bassamente giocare con la pelle di quattromila servitori dello stato? È retorica inutile quella di elogiare la valenza ammaestrativa degli insegnanti se poi li trattate puntualmente come ferrivecchi della società o come gli ultimi sacrestani di provincia, negando loro ogni minima possibilità di riscatto sociale. Nei prossimi giorni, cara Malpezzi, hai il dovere di insistere con Renzi per fargli mettere in pratica quella ideale promessa contratta con noi grazie a un decreto ad hoc entro agosto. Non possiamo fare un altro anno di scuola e il nostro diritto grida vendetta al di là di Urano e di Nettuno. Tu lo sai bene perché ci hai creduto con noi e ci hai anche dato una mano. O forse non hai il coraggio di ammettere che non ci sarà alcun decreto? In ogni caso, dopo gli accorati appelli di Bastico, Boccia e Damiano, meritiamo una risposta precisa e concreta sul da farsi.

Il 1 settembre è alle porte. E ci sono quattromila precari che aspettano quelle nostre cattedre e non si capacitano. C’è ancora tempo fino al 20 settembre. Lo ha detto l’altro ieri un dirigente del Miur ad alcuni colleghi di Quota 96. Si tratta in fondo, come chiedeva avvedutamente Manuela Ghizzoni, di ristabilire l’esercizio di un diritto leso, non di favorire un privilegio. «La più grande arma per costruire  la pace», ha detto oggi Renzi, «è la scuola». E allora si dirottino quei risparmi verso la scuola e la ricerca. Elementare, Watson!

IL GOVERNO SANI QUOTA 96. NE HA IL DOVERE MORALE E POLITICO. Ora o mai più!

Cordiali saluti.

Giuseppe Grasso

Redazione

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