Egregi onorevoli, avete avuto modo di parlare più volte, nel dettaglio, del dramma dei pensionandi della scuola di Quota 96 ed è doveroso ringraziare entrambi per la sensibilità politica dimostrata in Parlamento nei loro riguardi con l’approvazione della proposta di legge C249 a firma Ghizzoni e Marzana. Per far luce in modo definitivo sui diritti di questi professionisti della conoscenza è tuttavia necessario sottoporre ancora una volta alla vostra attenzione, date alcune incongruenti riserve formulate ieri in commissione Bilancio, un ragionamento ‘tecnico’ sul tema della maturazione dei loro diritti in materia previdenziale. Si è parlato molto negli ultimi due anni, in relazione alle ben note vicende di questi professionisti della conoscenza, di una presunta disparità fra i nati nell’anno 1952. Nelle lotte portate avanti dal Comitato Civico «Quota 96», apripista indiscutibile lungo tale china, ha assunto risonanza politico-giuridica la rivendicazione della peculiarità del Comparto Scuola, Comparto che ha, come ben sapete, tempistiche e ordinamenti propri regolati da leggi speciali che differiscono dalle leggi generali della Pubblica Amministrazione. Il governo Monti, disattento e smemorato, aveva clamorosamente dimenticato che l’anno scolastico non coincide con l’anno solare e che si colloca a cavallo fra due anni solari. Non aveva riservato nemmeno un comma alla particolarità della scuola, particolarità cui aveva invece dedicato il dovuto spazio la riforma pensionistica Damiano delle quote. Il problema della continuità didattica, stimati Presidenti delle commissioni Bilancio e Lavoro, impedisce di considerare a chi vi lavora la conclusione di ogni periodo (tanto più l’uscita dal servizio) con l’anno solare. Come potrebbe mai un insegnante abbandonare una sua classe il 31 dicembre? Eppure, quella che dovrebbe essere una verità elementare, è stata negata ripetutamente, con buona pace di ogni diritto acquisito anche se non ancora esercitato. La legge 449/1997, all’articolo 59, comma 9, recita così: «Per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno». Si tratta di una precisazione normativa rilevantissima di cui ha tenuto conto il giudice del lavoro di Siena, nel suo provvedimento del 17 agosto 2012, quando ha ribadito a chiare lettere questa peculiarità statuita da leggi dello stato tuttora in vigore – fra cui l’art. 1 del D.P.R. 351/1998 – chiedendo di eccepire, a seguito di un ricorso, la incostituzionalità della legge Fornero che discrimina questa categoria. Egli ha fatto notare che quella legge non avrebbe distinto, rispetto alla data del 31 dicembre 2011, con particolare riguardo al settore scolastico, il «dies ad quem della maturazione dei requisiti pensionistici secondo la normativa previgente». I requisiti per il pensionamento nella scuola, giova ripeterlo in questo delicatissimo momento, si possono maturare entro il 31 dicembre dell’anno solare (ecco perché si parla di «prevista maturazione del requisito»); ma il pensionamento effettivo, come sempre è accaduto in questo settore, decorre dalla «data di inizio dell’anno scolastico e accademico». Il che vuol dire, per la scuola, dal 1 settembre, e per l’Afam dal 1 novembre. Tutti i patronati fanno i loro calcoli con questi dati ben precisi. Basta andare a leggere le circolari del Miur degli ultimi anni per averne chiara e precisa conferma. Stupisce, pertanto, che si sia potuto rimettere in discussione ieri, dopo un anno e mezzo di puntualizzazioni sul piano giuridico, un principio elementare sancito specificamente e approvato sia dalla commissione Lavoro che dalla commissione Cultura – a maggior ragione visto che l’onorevole Manuela Ghizzoni, vostra agguerrita compagna di partito nonché paladina di questo mini-popolo del mondo dell’educazione, lo ha esplicitamente richiamato nella sua proposta di legge C249 all’art. 1, chiarendo che non esiste alcuna disparità fra i nati nel 1952 secondo il principio normativo regolato dalla summenzionata legge 449/97. Mi permetto di citare quell’articolo per comodità vostra e dei lettori: «All’alinea del comma 14 dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dopo le parole: “ad applicarsi” sono inserite le seguenti: “al personale della scuola che matura i requisiti entro l’anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni”». Il prof. Ferdinando Imposimato, magistrato di vaglia e Presidente onorario della Corte di Cassazione, è più volte intervenuto a ribadire che la data unica e apparentemente equanime del 31 dicembre 2011, stabilita dalla cosiddetta ‘Riforma Fornero’, non aveva tenuto conto di questa specificità lavorativa e pensionistica del Comparto Scuola, specificità che è basata, per garantire il buon funzionamento dei processi educativi e didattici, non sull’anno solare ma sull’anno scolastico. I pensionamenti del Comparto Scuola sono infatti regolati ancora, non essendo stato abolito, dall’art. 1 del D.P.R. 351/1998, che vincola la cessazione dal servizio «all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata». Questo vincolo, penalizzante per i suddetti lavoratori, ha come contrappeso una seconda norma, anch’essa tuttora vigente, l’articolo 59 della Legge 449/1997 già citata. Eppure, proprio in virtù di queste due norme, il personale scolastico che poteva vantare requisiti maturabili al 31 dicembre 2011 era già in pensione o avrebbe comunque potuto ottenerla indipendentemente dalla ‘norma di salvaguardia’ della ‘Riforma Fornero’. Quella ‘norma di salvaguardia’, per avere effetto sui lavoratori della scuola, avrebbe dovuto preservare – in applicazione dell’art. 1 del D.P.R. 351/1998 e dell’art. 59 della Legge 449/1997 – il personale che maturava i diritti nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, e comunque entro il 31 dicembre 2012. Trascurando di applicare, come sarebbe stato giusto e costituzionalmente legittimo, le norme speciali vigenti per il Comparto Scuola, la ‘Riforma Fornero’ ha finito per produrre una «grave ingiustizia» e costretto il Miur a un «dettato», come lo ha definito lo stesso Imposimato, «schizofrenico». La data del 31 agosto, citata spesso da politici, sindacalisti e patronati, attesta pertanto, come già detto, un termine ad quem, il termine al quale, cioè, bisogna riferirsi per far capire che finisce l’anno scolastico dato che il 1 settembre ne inizia uno nuovo. E non può essere foriero di atteggiamenti «emulativi», come è stato ingiustamente insinuato da qualcuno, o di un effetto trascinamento per altri settori del pubblico impiego. La legge 449/1997 contempla infatti, per il solo Comparto Scuola, la data del 31 dicembre per la «prevista maturazione del requisito». Ed è sempre stato così. È possibile che chi non lavora nella scuola (e nell’Afam) possa trovare farraginoso questo doppio termine e la sfasatura temporale fra la data del 31 agosto e quella del 31 dicembre. Tuttavia non è così difficile da introiettare. Nella scuola si va in pensione il 1 settembre di ogni anno scolastico (nell’Afam il 1 novembre) ma è data possibilità ai nati in uno stesso anno, come ad esempio ai lavoratori del 1952 in questione, di poter «maturare» il requisito a pensione ENTRO l’anno solare, ovvero ENTRO il 31 dicembre, per evitare che quelli nati DOPO il 31 agosto rimangano fuori rispetto ai nati negli otto mesi precedenti. Il legislatore ha inteso così salvaguardare tutta la fascia degli aventi diritto nati nello stesso anno. Nel pubblico impiego, invece, non è così e si va in pensione il giorno dopo la maturazione del requisito. Pertanto, quando nei proclami o negli articoli di giornale si legge la fatidica data del 31 agosto, non bisogna pensare, «sic et simpliciter», che la maturazione di chi è prossimo alla pensione ma è nato DOPO quella data sia tagliato fuori. Questo non è solo un pregiudizio diffuso ma un superficiale travisamento della legislazione scolastica. Perché 31 agosto, per i pensionamenti scolastici, vale 31 dicembre. Mi rivolgo dunque a voi perché si faccia rispettare questo principio giuridico statuito da leggi ancora vigenti e ripreso dalla pdl C249 che dovrebbe essere inserita (e approvata) in uno dei prossimi consigli dei ministri. Con la stima di sempre. Giuseppe Grasso
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