Riparte l’offensiva del personale della scuola, docenti e Ata, “Quota 96” che, come è ormai noto, per effetto della legge Fornero sulle pensioni ha subito l’ingiustizia, rispetto al resto della P.A., di rimanere al lavoro, potendo usufruire della sola finestra di uscita legata all’anno scolastico e quindi al 31 agosto e non al 31 dicembre, come invece è stato strumentalmente sancito per costringerli al lavoro. Una macroscopica “svista” che sta penalizzando oltre 4.000 persone, censite dal Miur dopo un balletto di numeri che li avevano fatti arrivare a oltre 9000, per dimostrare che i costi a carico dell’Inps sarebbero stati esorbitanti.
E finita pure la speranza di avere giustizia da parte della Corte costituzionale che, esprimendosi, non si è pronunciata sull’effettivo merito, ma solo sulle considerazioni del Giudice del Lavoro, ecco tornare in causa l’appello alla politica e in modo particolare al Pd che sembra voglia assumere nuovi impegni.
Il punto da mettere in chiaro, e che questo personale vuole di nuovo rappresentare ai dirigenti disponibili del Partito democratico, dopo, e pure in coincidenza con l’interesse appassionato di Manuela Ghizzoni e Mariangela Bastico, si sposta tuttavia dalle considerazioni di carattere giuridico e di legislazione, per entrare nel merito più intimo della faccenda e dentro la quale non sono esclusi i precari in attesa di sistemazione.
Il punto infatti che questo personale vuole descrivere con più enfasi si lega a fatti oggettivi che rendono la nostra scuola, non sola la più vecchia d’Europa, ma anche quella attorno a cui ruota una gigantesca platea di precari, da anni in attesa di entrare in pianta stabile.
Ma c’è pure un’altra questione che questo personale intende rappresentare, e non solo alla politica, quella cioè della demotivazione ormai, della sfiducia e della oggettiva impossibilità di accaparrarsi perfino, vista l’età, dell’utilizzo efficace delle nuove tecnologie.
In altri termini, e per questo stanno partendo migliaia di E-Mail verso tutti i gruppi politici e i giornali a diffusione nazionale, vogliono denunciare che scelte sbagliate, seppure nate dall’esigenza di risparmiare, acquistano col tempo il valore opposto, proprio perché docenti ultra sessantenni si ritrovano costretti a fare una attività non più desiderata, mentre capiscono la loro incapacità a tenere classi numerose e a svolgere col dovuto impegno attività didattiche che pretendono invece forze fresche per entusiasmo ed energia. Alunni, in modo particolare, così come suggerisce Mila Spicola, di 5 anni, ma anche più piccoli, sono costretti a fare i “conti” con docenti di anche di 62 e 63 anni, mentre appunto “in Italia un giovane su due è disoccupato.”
E sempre Spicola, ma è pure il buon senso a dirlo, aggiunge che “serve un patto di turn over generazionale, almeno nella scuola”, per dimostrare agli effetti pratici che questo governo, così come viene detto ripetutamente, è in grado di “rispondere alle sfide e ai bisogni della scuola di oggi”.
Ed ecco un altro elemento di riflessione: saprà rispondere il governo? Riuscirà a capire, anche nella persona della ministra, che c’è un limite di età e un punto di arrivo oltre il quale è oggettivamente impossibile svolgere con la dovuta efficienza il lavoro nobile e altissimo dell’insegnamento?