Onorevole Pier Luigi Bersani,
da oltre sei mesi i circa tremila lavoratori del comparto scuola che hanno raggiunto, nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, la cosiddetta quota 96 – quota che Lei conosce bene in quanto istituita, nel 2007, dal Suo compagno di partito Cesare Damiano – lottano per la rivendicazione del proprio diritto a pensione con le vecchie regole, diritto confortato da leggi tuttora in vigore e recepite da tutti i provvedimenti pensionistici nel frattempo intercorsi: citiamo il comma 1 dell’art. 1 del D.P.R. 351/1998 (che vincola la cessazione dal servizio nel comparto scuola «all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata») e l’art. 59 della legge 449/1997 (che stabilisce, sempre per il comparto scuola, che «la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno»).
Sappiamo che il governo Monti è stato insediato con il compito ben preciso di «salvare» il paese da una crisi finanziaria in atto da tempo e che, per raggiungere tale obiettivo, bisognava fare sacrifici. Ma i sacrifici, come ha sempre propugnato il suo partito, tradizionalmente legato ai lavoratori, dovrebbero essere fatti nel rispetto dell’equità e senza calpestare il diritto di nessuno. Questo ci sembra un principio di fondo su cui non è possibile transigere né attuare compromessi. Nel nostro caso, purtroppo, non siamo di fronte alla semplice iniquità di un sacrificio. Ci troviamo di fronte all’evidenza di un diritto calpestato e vorremmo uscire dall’ineluttabile emarginazione nella quale siamo stati confinati. Vorremmo poi sottolineare, onorevole Bersani, che quell’equità tanto sbandierata dal premier Monti e dal suo/vostro Governo, a dirla tutta, non riusciamo a scorgerla nemmeno col telescopio più potente.
La riforma pensionistica Fornero ha stabilito una data unica per la maturazione del diritto alla pensione con le norme ad essa previgenti, quella del 31.12.2011, data che entra in conflitto, come ha avvalorato giorni fa il Tribunale del Lavoro di Oristano con le leggi di cui sopra, andando a cancellare, per la prima e unica volta nella storia dei pensionamenti scolastici, il diritto di far valere i requisiti pensionistici maturati nello spazio obbligato dell’anno scolastico.
Due rappresentanti del Suo partito, Mariangela Bastico e Manuela Ghizzoni, assicurando di parlare a nome di tutto il gruppo dirigente del Pd, hanno fattivamente sostenuto la nostra rivendicazione fino a presentare due appositi disegni di legge, il 3361 e il 5293, che sono stati firmati anche da esponenti di altri partiti politici ma che si sono arenati in parlamento – è da ritenere – a causa del disinteresse, diremmo quasi ideologico, del governo (e di chi lo sostiene) per ogni cosa che riguardi la scuola o le politiche scolastiche. L’attuale esecutivo, perentoriamente maldisposto e prevenuto verso i professionisti della conoscenza, non ha mai voluto ammettere che i pensionamenti scolastici sono regolati, da sempre, secondo le cadenze peculiari dell’anno scolastico e non dell’anno solare, anno scolastico che attualmente comincia – giova rammentarlo anche a Lei – il 1° settembre di ogni anno e si conclude il 31 agosto dell’anno successivo.
Cosa si deve fare per convincere i prestigiosi «tecnici» che siedono nel governo a correggere un errore «tecnico» dovuto, con tutta probabilità, alla ‘prescia’ con cui è stata scritta l’ultima riforma previdenziale? Cosa è possibile fare per rimediare il danno subito da un piccolo popolo di malcapitati la cui unica colpa è quella di prestare onorevolmente il proprio servigio e di pagare le tasse fino all’ultimo centesimo? Ne è stato chiesto conto alla ministra del Lavoro Elsa Fornero. Ma l’insigne cattedratica, per il tramite del vice-ministro Michel Martone, non ha trovato di meglio che negare contro ogni evidenza, e con un’aria da istitutrice vittoriana, la specificità lavorativa, e perciò pensionistica, del comparto scuola.
Il Comitato Civico «Quota 96» ha condotto, come Lei ben sa, una costante e finora composta iniziativa politica, culminata nell’organizzazione di due manifestazioni nazionali, il 29 aprile e il 10 giugno scorsi, manifestazioni onorate dall’appoggio e dall’intervento diretto delle esponenti democratiche sopra ricordate. L’emendamento che andava a sanare la palese ingiustizia nei nostri confronti è stato bocciato ben due volte, prima a febbraio (con il ‘milleproroghe’) e poi a luglio (con la ‘spending review’), malgrado l’appoggio (incondizionato?) del Suo partito. Ora, dopo vari oltraggi e umiliazioni di ogni sorta, vorremmo che lei spiegasse ai pensionandi della scuola di Quota 96, che rappresentano una fetta non indifferente del Suo elettorato, qual è la reale posizione del Pd in merito al tema dei pensionamenti scolastici del 2012. Esigiamo però da Lei una risposta netta e precisa, una risposta che faccia tabula rasa delle inspiegabili titubanze o procrastinazioni cui abbiamo dovuto assistere fin qui. E la esigiamo – in nome della trasparenza dei rapporti fra elettori ed eletti – PRIMA della fine di questa legislatura. DOPO sarebbe troppo facile farlo giacché, a ridosso delle elezioni, ogni partito tende a blandire con ogni mezzo, come Lei ben sa, chi si reca alle urne pur di arrivare allo scopo. Non è demagogia né propaganda populistica. Non ci appartiene. Siamo educatori.
Se lo chiediamo oggi a maggior ragione, onorevole Bersani, è perché un senatore del suo partito, Tiziano Treu, ha prodotto, nei giorni scorsi, un’assurda e infelice esternazione contro il decreto cautelare favorevole ai pensionandi della scuola di Quota 96 emesso dal giudice di Oristano. Che strana coincidenza, non trova? Le parole del senatore Treu, senza tema di smentita, implicano un sostanziale e arrogante dispregio sia del parere del giudice che ha compiuto il proprio dovere, sia di coloro i quali sono stati costretti, pagando le spese, a ricorrere al Tribunale del Lavoro perché venisse riconosciuto un loro sacrosanto diritto. Un diritto, per l’appunto, e non già un privilegio, per usare le parole di Manuela Ghizzoni. Il senatore Treu, che ieri affermava, come il collega di partito Damiano, la necessità di rivedere la riforma Fornero, oggi sembra difenderla a spada tratta come se ne condividesse ogni punto, come se fosse quasi una sua creatura, come se si atteggiasse ad araldo della più iniqua e drastica riforma previdenziale che l’Italia repubblicana ricordi. Non solo ha evitato di appoggiare, come fanno tuttora le onorevoli Bastico e Ghizzoni, le legittime richieste dei cittadini-lavoratori, ma si è spinto fino a sentenziare contro di esse, adottando quei toni professorali oggi molto in voga, tanto più supponenti, però, quanto più distaccati. La verità è che il senatore Treu sta più dalla parte della Fornero che dei lavoratori della scuola. Una simile, ideologica volontà di difendere la riforma Fornero contro tutti fa solo emergere, crediamo noi, l’irresolutezza di un partito che si riconosce del tutto in questo governo di «tecnici» perché ha smarrito la propria identità.
Alla luce di tale gravissimo precedente, che ha denotato mancanza di tatto verso il giudice preposto e verso di noi, La preghiamo di chiarire, con la massima lealtà politica e con la responsabilità che Le deriva dalla Sua carica, se la posizione ufficiale del Pd è quella di Treu o se è invece quella di Bastico e Ghizzoni. Perché oggi si configurano almeno due linee differenti (e divergenti) nei confronti dei pensionandi della scuola di Quota 96. Sono forse i professionisti della conoscenza cittadini di serie B? Sono forse «figli di un dio minore», indegni del pur minimo interesse da parte della politica come ha denunciato aspramente la senatrice Bastico? Come mai, viceversa, quell’interesse è ben vivo e vegeto quando sono in gioco, guarda caso, le rivendicazioni di banchieri, medici, farmacisti, tassisti e compagnia bella?
Il mondo dell’educazione ha sicuramente molto da insegnare a Lei, ai «tecnici» che ci maltrattano e al parlamento che legifera incurante del patimento provocato in chi ha visto inopinatamente sconvolti i propri progetti di vita, progetti concepiti in vista di un pensionamento che sembrava inoppugnabile. Non è da escludere che questo mini-popolo della conoscenza possa essere indotto a imboccare, per disperazione, qualora Lei non intervenisse tempestivamente con un atto tangibile, quella strada della cosiddetta «antipolitica» che Lei ha duramente stigmatizzato, un’«antipolitica» che può solo raccogliere, inevitabilmente, i disagi crescenti di una base sempre più insoddisfatta e tartassata. Bisogna ricucire, onorevole Bersani, il cordone ombelicale con il popolo e non trincerarsi più, assai comodamente, dietro pretestuosi alibi o, peggio, dietro esiziali giochi di palazzo. L’Italia, lo si sappia, ne è davvero stanca. Su questo punto Lei dovrebbe sentire il dovere di ascoltare la voce di una base non solo esasperata ma consunta dalle solite promesse non mantenute e infarcite, per soprammercato, di ipocrite dichiarazioni di facciata o di genuflessioni di circostanza.
Oggi, credendo di interpretare i sentimenti del Comitato Civico «Quota 96», diciamo basta. È ora di finirla con le solite manfrine e tiritere, è ora di riprendere il dialogo con i cittadini, di recuperare il tempo che si è perduto invano. Le onorevoli Bastico e Ghizzoni, che hanno sposato con perseveranza la nostra causa, sono forse una minoranza ininfluente di valvassini nel feudalesimo impazzito che sgoverna e fa spesso sragionare il suo partito? Si rende conto che loro sole hanno avuto l’umiltà di capire (e di spiegare ai loro colleghi) che la richiesta del nostro Comitato non è quella di un privilegio ma di un diritto? O vuole forse ripetere anche Lei, se ce ne fosse ancora bisogno, la stolta giaculatoria secondo cui, nella scuola, si lavora per tre ore al giorno e si hanno tre mesi di ferie all’anno? Lei deve sapere, onorevole Bersani, che è proprio sulla scorta di tale risibile e ottuso pregiudizio che il governo ha affossato il diritto dei pensionandi della scuola di Quota 96. Tutto il resto, come poetava l’amabile Verlaine, è solo letteratura.
Il Pd, con la spending review, ha avuto un’occasione unica che non ha saputo o non ha voluto cogliere per chissà quali intrighi. Se un provvedimento è a costo zero, come quello che ci riguarda presentato al Senato, se va a sanare una patente ingiustizia, se risolve, insomma, problemi di un certo tenore sociale, perché non portarlo a termine in luogo di barattarlo con altri sul tavolino dei compromessi al ribasso? Perché avallare quell’irricevibile pateracchio con cui da un lato si è riconosciuto al personale della scuola il diritto di poter conteggiare i requisiti maturati al 31.8.2012 (dandoci così, in linea di principio, ragione) e, dall’altro, lo si è arbitrariamente limitato ai soli docenti in esubero tagliando fuori, con una ulteriore arbitraria discriminazione, il personale A.T.A.? Oltre il danno, meritavamo anche la beffa?
Perché consentire, poi, al sottosegretario Polillo ,di opporre sistematicamente veti aprioristici a ogni iniziativa a favore dell’istruzione pubblica quando invece il fido alfiere di Monti nulla ha avuto da obiettare contro provvedimenti inutilmente dispendiosi come quello che ha stanziato, di recente, ben dieci milioni aggiuntivi per il fondo spese dei gruppi parlamentari del Senato? Certo è più facile malmenare e trattare da imbecilli dei poveri diavoli che affrontare, a viso aperto, la scelta di una patrimoniale rigorosa. Ma si tratta, a ben vedere, di una magra consolazione. Dove sono andati a finire l’ardimento e la vitalità del vecchio Pci/Pds? E ancora, onorevole Bersani, pensa anche Lei che gli insegnanti non siano una priorità ma solo un peso oneroso per le casse dello stato? Crede davvero, da illuminato economista qual è, in simili amenità da bettola messe in auge da una vulgata tanto falsa quanto profondamente disonesta? Come spiegare a chi si accosta al sacro tempio della cultura – ai giovani studenti di oggi – che il lavoro educativo è qualcosa di misero, di piccino, di secondario livello? Non è forse questa l’idea predominante sulla considerazione sociale dell’istituzione scuola nel nostro paese? Allora, per assurdo, chiudiamo tutte le scuole e mandiamo a casa i professionisti che vi lavorano. Lasciamo ai banchieri e ai tecnocrati l’arduo compito di formare le nuove generazioni. Il paradosso inviti a un ragionamento più equanime.
Se crede anche Lei in queste volgari baggianate, onorevole Bersani, allora ce lo dica a chiare lettere e senza infingimenti. Sappia che alla menzogna preferiamo la verità e che alle pseudo illusioni anteponiamo un più sano realismo. Abbiamo in uggia ogni sterile bizantinismo. Gli altri partiti, almeno, non hanno mai celato la loro insofferenza (e la loro tracotanza) nei confronti del pianeta scuola. Con la incresciosa e desolante vicenda di Quota 96 è emersa, nel Suo partito, una untuosità gesuitesca che ci ha profondamente deluso – come mai era accaduto – e schiaffeggiato moralmente. C’è infine un altro aspetto che non va trascurato a proposito dei pensionandi della scuola di Quota 96. La vicenda ha assunto, tecnicamente, un profilo così insensato e così illogico che richiederebbe una maggiore risonanza mediatica su scala nazionale per fare un po’ di chiarezza. Ma tant’è. La stampa che conta, e che subisce i condizionamenti dei maggiori partiti al governo, non ne parla mai o, se lo fa, incappa spesso in sbrigative facilonerie o in liquidazioni di basso conio, con buona pace della nostra democrazia.
Questo volevamo ribadire sperando di essere stati chiari e puntuali quanto basta.
Ora sta a Lei, se ancora crede nel valore aggregante e sociale di quella vera politica che sa intercettare il malessere dei cittadini, se crede nel dialogo proficuo con la base – sta a lei, onorevole Bersani, squarciare le strettoie che impediscono quel dialogo e adoperarsi affinché chiarezza e giustizia vengano fatte. Una volta per tutte. Ne va della nostra dignità e della nostra professionalità che tuteliamo a ogni piè sospinto, in tutti gli ordini di scuole, da ogni strale ignominioso. Sta a lei dire al nostro popolo, come suggeriva Nanni Moretti, «una parola di sinistra». Perché la nostra impressione, dopo decenni di profondi rivolgimenti, è che questa parola sia sparita, incredibilmente, non solo dal vocabolario del Suo partito ma dalla comune percezione della gente, quasi fosse lo scialbo residuo di un concetto ormai logoro e stinto.
Restiamo in attesa di poter avere con Lei quell’incontro chiarificatore che abbiamo da tempo richiesto attraverso Manuela Ghizzoni e che non ci è stato finora concesso – ci si dice – a causa dei suoi molteplici e pressanti impegni.
Cordiali saluti.
Giuseppe Grasso e Antonio Pane
del Comitato Civico «Quota 96»
Importante e prestigioso risultato per l’Ateneo romano La Sapienza, tra i primi cinquanta università di…
Ormai sono più efficaci le emoji al posto dei voti numerici o dei giudizi a…
Nella Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, il ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe…
Il bonus da 1.500 euro per genitori che vogliono iscrivere i figli alle scuole paritarie,…
Circa 2 milioni di ragazzi italiani di età compresa tra i 10 e i 20…
Ascolta subito la nuova puntata della rubrica “Educazione in Evoluzione” tenuta da Matteo Borri dal titolo: “Ma (a che) serve…