Secondo il prof Lino Nobili, primario di neuropsichiatria infantile all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, la pandemia ha segnato un’intera generazione di bambini, molti dei quali gli dicono che “vogliono morire”.
E poi porta un esempio all’agenzia Agi: “Abbiamo in ricovero una ragazzina di 13 anni. Ha provato due volte a togliersi la vita e mi dice, ancora una volta, ‘tanto lo sai come andrà a finire’. Ed è sempre lei a confessarci che quando si alza per andare a trovare un altro paziente, non è per gentilezza, ma per vedere se nel tragitto trova qualcosa con cui farsi del male”.
La pandemia, secondo Nobili, ha fatto esplodere tanti casi di depressione infantile: “Prima del Covid avevamo già un incremento delle patologie psichiatriche in età pre e adolescenziale: dal 2011 abbiamo sostanzialmente assistito a una crescita della curva, con un costante +7% annuale. Questo incremento di casi faceva il paio con intensità e sintomatologia più forti. La pandemia poi, ha peggiorato tutto”.
“Dal 2019 al 2021 gli ambulatori urgenti per neuropsichiatria, ovvero casi inviati dai pediatri, hanno registrato il doppio degli accessi. Idem per i casi più gravi, ovvero gli accessi diretti al pronto soccorso: solo nel periodo gennaio aprile 2021 sono stati il doppio. L’ideazione suicidaria tra gli under 14 era bassissima nel 2019, mentre oggi è schizzata su numeri ben più alti. Se prendiamo in riferimento sempre il periodo gennaio – aprile 2021, al Gaslini abbiamo avuto 8 under 14 che hanno tentato il suicidio: un ragazzino dimesso da noi a dicembre, apparentemente in buone condizioni, si è buttato dalla finestra nuovamente. Ora tornerà da noi”.
Alla base di questo fenomeno, secondo l’esperto, ci sarebbe un acutizzarsi delle “fragilità” che, seppure presenti in ogni essere umano, “questa situazione legata al Covid ha funzionato da trigger ulteriore: c’è solitudine, assenza di prospettiva e senso di vuoto in questi ragazzini e non dipende solo dal contesto sociale perché abbiamo visto ragazzi provenire sia dalla periferia, specialmente Pontedecimo e Bolzaneto, sia da ambienti più elevati. Questi ragazzini, invece di andare in strada, sfasciare tutto e far la rivoluzione, si infliggono del male. Il motivo è semplice: si sfascia se si ha davvero l’obiettivo di cambiare il mondo. I ragazzi che abbiamo visto arrivare qui non hanno più la voglia di cambiare il mondo, c’è rassegnazione, la vita ha poco significato e gli esiti sono drammatici”.
“Abbiamo ragazzi entrati 5 o 6 mesi fa. Una piccolina che ha tentato di togliersi la vita la scorsa estate a luglio è ancora ricoverata da noi. Ora le ho forse trovato una comunità. Per lei la comunità rappresenta una valida alternativa perché proviene da un contesto di case popolari dove era estremamente bullizzata”.
Prevenzione sembra essere la risposta più pertinente di fronte a questo acutizzarsi di un problema gravissimo: il lavoro deve cominciare prima, osservando i più piccoli a casa, a scuola, in palestra. Isolamento, sonno disturbato, ossessione verso l’attività fisica, simbiosi col pc, sbalzi d’umore, autolesionismo sono segnali da cogliere per individuare la presenza di un disturbo psichiatrico: “I ragazzi, quando vengono qui, chiedono tutti solo quella cosa lì, ovvero, sentirsi compresi. Vogliono essere guardati, capiti, amati. Tutti chiedono aiuto e lo fanno attraverso varie espressioni. Vogliono sentire che il tuo aiuto è sincero. Senza questo i fragili si perdono”.
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