Sono sempre più le ricerche che lanciano allarmi sui nostri ragazzi per il cattivo uso delle tecnologie.
Un tema sul quale sono, è giusto dirlo, in atto sforzi notevoli, soprattutto delle scuole migliori, di investimento nella formazione per educare i nostri giovani ad un uso critico ed intelligente dei nuovi strumenti e delle loro applicazioni.
Ma forse non bastano questi sforzi. Stanno arrivando, ad esempio, segnalazioni di aumento esponenziale di accessi al pronto soccorso per situazioni di disagio mentale e di conseguente accesso ai reparti di neuropsichiatria.
Evidente, di fronte a queste situazioni, il nostro disorientamento, quasi a dire che si fa fatica a fare da argine.
Come stanno, dunque, rispetto agli eccessi che vediamo ogni giorno, i nostri ragazzi?
I dati ci dicono, ad esempio, del quasi raddoppio nelle nostre regioni di bambini e adolescenti in carico ai reparti neuropsichiatrici, dal 4 al 7% sul totale.
“Sono in aumento soprattutto i casi complessi – così si è espresso Stefano Benzoni del policlinico di Milano in un recente convegno tenutosi nel capoluogo lombardo– cioè le situazioni multiproblematiche con più diagnosi contemporaneamente e con problemi psicosociali.”
Benzoni ha poi tenuto a precisare che il 40% dei casi associa questa patologia ad altre, come il disturbo d’ansia e il deficit di attenzione.
Se poi mettiamo in conto il contesto sociale e famigliare, con situazioni che ben conosciamo, abbiamo il quadro completo.
Colpa anzitutto della crisi di tante famiglie, e del venir meno delle tradizionali reti educative?
Comprendiamo quindi, da questi richiami, la grande responsabilità oggi del mondo della scuola, rispetto solo a pochi anni fa. Con tutte le pressioni di cui facciamo ogni giorno esperienza.
E’ la generazione, dunque, dei cosiddetti nativi digitali quella che più sta soffrendo, soprattutto se manca un retroterra educativo adeguato. Sapendo, poi, che questi ragazzi si trovano inseriti in un contesto generale di atomizzazione e di compressione sociale.
“I nostri ragazzi vivono in famiglie sempre più ‘accelerate’ – osserva il neuropsichiatra – dove si passa tantissimo tempo a fare tantissime cose con un senso di inconcludenza e con la sensazione di essere soverchiati con un isolamento crescente”.
Non solo. Le tecnologie stanno, in più, scavando dei grandi solchi tra le generazioni. Non solo per le competenze tecnologiche oggi richieste, ma anche per le situazioni di protezione sociale che privilegiano i padri ed i nonni rispetto ai figli e nipoti.
Che manchi la mediazione educativa sociale ed in molti casi quella delle famiglie? Che la scuola da sola non possa coprire in tutto questo solco?
Tanti sono i temi che richiedono questa mediazione: affettività e sessualità, educazione all’uguaglianza, conflitto e negoziazione, disturbi del comportamento alimentare, Hikikomori e ritiro sociale, disimpegno e attivismo, bullismo e cyberbullismo, dipendenze da alcool e da droghe, condotte autolesive, Internet e social.
Ma non dobbiamo partire da una idea negativa su queste tecnologie. Solo che le dobbiamo mediare rispetto alle altre variabili della vita.
Sono, cioè, negative se da strumenti diventano fini, possono essere buone opportunità se rimangono, appunto, degli strumenti da utilizzare per il miglioramento della nostra vita quotidiana. Come tutti gli strumenti.
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