Ancora sangue nelle strade di Napoli, ancora un giovanissimo ragazzo morto: stavolta si tratta di un diciottenne, morto dopo essere stato raggiunto da un colpo di pistola alla tempia in una strada centralissima della città. Il ragazzo, che lavorava nel negozio del padre, è morto stamattina, 9 novembre, in ospedale.
Ipotesi gioco finito male
Come riporta Il Corriere della Sera, tra le ipotesi che si fanno strada ci sarebbe addirittura un “tragico gioco” finito male. Il giovane era insieme ad alcuni amici e c’era una pistola che, pare, si stessero mostrando. L’ipotesi è maturata a seguito del ritrovamento sul luogo dell’omicidio, di un proiettile inesploso. Come se chi stava maneggiando l’arma avesse “scarrellato” facendo saltare la pallottola.
Il ragazzo aveva compiuto diciotto anni lo scorso 25 ottobre. Il giovane è stato ucciso a pochi passi dalla sua abitazione, “presumibilmente da qualcuno che conosceva”.
Il commento di Saviano
Purtroppo si tratta dell’ennesimo caso simile che ha luogo a Napoli: un quindicenne è morto ammazzato il 25 ottobre, un diciannovenne il 2 novembre. Ricordiamo anche il caso del musicista ucciso per strada a Napoli nell’agosto 2023 dopo una banale lite. Ma cosa sta succedendo ai giovani della città? I modelli che imperano tra i ragazzi hanno a che fare esclusivamente con criminalità, lusso e, soprattutto, armi?
A riflettere su questo lo scrittore Roberto Saviano, sempre su Il Corriere della Sera, autore di Gomorra. “Perché si muore così giovani? Perché così tante vittime? Non è una singola faida, non sono tutti collegati nello stesso conflitto. Facciamo ordine: cosa conta oggi? Cosa conta per un ragazzino (in realtà per tutti) più di ogni cosa? Il denaro. Cosa porta il denaro? Bellezza, stile, essere figo, essere carismatico. Cosa porta carisma e denaro? Comandare, poter sedurre, piacere. E come fai ad arrivarci in una realtà dove non esistono contratti, dove il lavoro nero è per sempre, dove ogni risparmio e ogni progetto spesso sono impossibili?”, si chiede.
“Ovvio che non tutti fanno questa scelta, ovvio che c’è chi in miseria e difficoltà non diventa un paranzino, un killer, un camorrista, ma la forza di una catena si misura sul suo anello più debole. Vi immaginate esseri violenti, da favela, strafatti di cocaina e crack. Nulla di tutto questo. Sono ragazzini che passano la vita ad ascoltare brani che parlano d’amore e tradimento, ossessionati dall’aspetto fisico e dall’essere brillanti, in continuo corteggiamento con le ragazzine e i loro amici, nel sogno di essere considerati i più simpatici, diventare i più ricchi, essere temuti dai più fessi. Questo sono, e queste fragili ambizioni li portano dritti nella scalata criminale”, aggiunge.
“Una situazione di guerra costante dove il rischio della morte non esiste, c’è la certezza di morte. Questo è il valore aggiunto che hanno nella prassi criminale i ragazzini, nessuna paura di morire, la leggerezza con cui considerano il carcere come una necessità per diventare uomini”.
“Oggi l’imperativo dev’essere disarmare Napoli, togliere armi in circolazione ma investire, investire, investire. Formazione, scuole aperte tutto il giorno, assumere e trasformare professori disponibili in maestri di strada, e ancora corsi, corsi e corsi professionali. Questo per iniziare a sottrarre una prima leva di ragazzini pronti a sparare. Il modello Caivano proposto dal governo non solo è stato inefficace ma ha peggiorato la situazione portando in carcere una massa di minorenni e di fatto ‘professionalizzandoli’ al crimine. Queste morti continueranno, e le faide con il progressivo crescere della miseria saranno sempre più feroci: cocaina, erba, eroina e anfetamina i turisti, non vogliono altro e le paranze non vedono l’ora di potergliele vendere. Questa realtà non è Napoli, questa realtà è il mondo”, conclude.