L’aprile 2022 coincide con l’inizio del Ramadan per i musulmani.
Un mese fondamentale per coloro che sono di fede islamica naturalmente, e di per sé non vi sarebbe nulla di irragionevole in un gruppo di adulti che si prende un mese di purificazione e riflessione.
Il problema è che non parliamo solo di adulti. Sebbene il Corano sconsigli vivamente (o addirittura implicitamente vieti) il digiuno a categorie la cui salute potrebbe essere gravemente colpito da esso, non è raro che molti genitori influenzino la scelta dei loro figli.
Ufficialmente la scelta è libera naturalmente, ma esattamente per altri comportamenti (come indossare il velo) come si può effettivamente definire libera una decisione se soggetta a forti pressioni dai genitori o dal contesto sociale? Ovviamente molti genitori musulmani sono dotati di abbastanza buon senso da evitare una simile decisione per i figli, ma molti altri no.
I minori necessitano di un’alimentazione sana, equilibrata e soprattutto che ci sia un’alimentazione in primo luogo.
Come la quasi totalità delle scelte che riguardano i figli anche questa è totalmente in balia dell’arbitrio dei genitori: diverse scuole hanno diverse politiche riguardo al Ramadan, ma nessun istituto pubblico (Stato, tribunali, servizi sociali) sembra anche solo vagamente interessato a regolamentare quello che si può tranquillamente definire abuso sui minori.
Come al solito nel nostro Paese i genitori sono equiparati a monarchi assoluti dotati di diritto di vita e di morte sulla prole. Del resto, il termine proletariato sottolinea questo: nessuna proprietà eccettuata la prole.
Si potrebbe disquisire fino al Giorno del Giudizio su questo tema, ma qui è più interessante riflettere su una cosa forse drammatica: la religione e la provenienza culturale posso giustificare simili avventatezze? Spesso le popolazioni del cosiddetto Terzo Mondo vengono attaccate per essere barbari senza civiltà, e una delle pratiche più (giustamente) vilificate è la mutilazione genitale femminile.
Eppure, quando in Occidente si è provato a vietare questa pratica sui giovani maschi per motivi religiosi si sono sollevate grida di antisemitismo e mancanza di rispetto, perché si sa, il diritto dei genitori di praticare una fede più importante della salute dei figli.
In ogni scuola italiana si pratica l’autosegregazione settimanale dei cattolici, in cui docenti retribuiti dallo Stato ma nominati dai vescovi interrompono il processo di integrazione per indottrinare i giovani figli di cattolici, senza rispetto per le buone intenzioni degli altri alunni o per gli altri genitori: del resto anche i padri e le madri atei, musulmani, buddisti e induisti pagano le tasse e dunque le loro imposte retribuiscono un ostacolo all’integrazione e alla creazione di una cittadinanza unita e culturalmente complessa.
Quali sono i limiti al podestà genitoriale? Dovrebbe essa subire un trattamento differenziale in base alla cultura di provenienza?
Davide Alfonso Capezza
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