Oggi, 1 dicembre, è stato diffuso il rapporto annuale del Censis, giunto alla 57esima edizione. Lo studio fornisce uno spaccato decisamente interessante sulla società del nostro Paese. Molti dei dati raccolti hanno una stretta correlazione con la scuola.
Come riporta Il Corriere della Sera, per gli italiani tutto è emergenza, dunque, alla fine, nulla lo è veramente. L’84% degli italiani è impaurito dal clima impazzito, il 73,4% teme per il futuro del Paese per i suoi problemi strutturali, il 73% è convinto che per via degli sconvolgimenti globali arriveranno in Italia sempre più migranti e non sapremo come gestirli. Ma ancora: il 53% teme il collasso finanziario dello Stato, il 60% ha paura dell’esplosione di un conflitto globale e il 50% è convinto che non abbiamo abbastanza difese contro il terrorismo.
Ma a fronte di tutto questo l’istituto di ricerca rileva che nulla smuove i cittadini che sono “sonnambuli”, sprofondati in un sonno che li rende “ciechi davanti ai presagi”.
Ma c’è un altro dato preoccupante relativo alla flessione demografica negli ultimi anni. Nel 2040 le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare il 25,8% del totale. Nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti, ovvero la somma di due città come Roma e Milano. Spariranno 3,7 milioni di persone con meno di 35 anni e al tempo stesso aumenteranno di 4,6 milioni di persone con più di 65 anni, di cui 1,6 milioni con più di 85 anni. Tradotto: sempre nel 2050 si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno, con un impatto serio sulla nostra economia, sul sistema produttivo. Che già oggi certifica una nuova fase di incertezza, con la variazione negativa del Pil nel secondo semestre dell’anno (-0,4%) e la stagnazione dell’economia registrata nel terzo trimestre. E la riduzione dell’1,7% degli investimenti fissi lordi.
Disoccupazione ancora alta
Abbiamo toccato il record dell’occupazione: il 2,4% in più tra il 2021 e il 2022. e nel primo semestre si sono contati quasi 23 milioni 500 mila. Il dato più elevato di sempre. Eppure il sistema produttivo lamenta la carenza di manodopera e di figure professionali. E poi a fronte dei nostri numeri da record rimaniamo il fanalino di coda dell’Unione europea per tasso di disoccupazione.
In merito ai diritti civili, il 74% degli italiani è favorevole all’eutanasia, il 70,3% dice sì all’adozione per single e il 54,3% lo dice per le coppie omosessuali. Il 65,6% si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso e ben il 72,5 % a favore dello ius soli. Soltanto la gravidanza per altri viene approvata da una minoranza ben al di sotto del 50%: il 34,4%.
Il Censis rileva inoltre che quasi 6 milioni di italiani oggi sono residenti all’estero, pari a più del 10% della popolazione globale. E questi numeri sono superiori a quelli dell’immigrazione: sono infatti 5 milioni gli stranieri residenti in Italia, pari all’8,6% della popolazione. Gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni, ovvero sono quasi 1,6 milioni in più. Ad espatriare di più sono i giovani tra i 18 e i 34 anni, 36.125 nell’ultimo anno.
Rapporto Censis 2023, il capitolo sulla formazione
Il Rapporto presenta un capitolo a parte relativo alla formazione. Ecco cosa è emerso:
La scuola è troppo distante dal mondo del lavoro. Lo afferma l’85,9% degli italiani e l’89,1% degli studenti. Si stima un fabbisogno occupazionale tra il 2023 e il 2027 pari a quasi 1,3 milioni di laureati o diplomati Its: in media, circa 253.000 all’anno a fronte dei 244.200 effettivamente previsti. Nei prossimi anni ci sarà dunque un fabbisogno inevaso di almeno 8.700 persone con formazione terziaria ogni anno, per un totale di 43.700 nell’intero periodo considerato, di cui circa l’80% costituito da laureati in discipline Stem, economiche, statistiche, sanitarie e giuridiche. I giovani in Italia sono pochi e in futuro saranno ancora meno. Oggi i 18-34enni sono 10.293.593: negli ultimi vent’anni si sono ridotti di oltre 2,8 milioni. Erano il 23,0% della popolazione nel 2003, sono scesi al 17,5% nel 2023 e tra vent’anni, nel 2043, si ridurranno al 16,4% del totale. Tuttavia, nel nostro Paese persistono sacche endemiche di dissipazione del capitale umano giovanile: i Neet 15-29enni, che non studiano e non lavorano, sono il 19,0% del totale, a fronte di una media europea dell’11,7% (siamo secondi solo alla Romania). Il 26,8% dei 18-24enni (oltre un milione) ha al più la licenza media e di questi l’11,5% (oltre 460.000) è classificabile come early school leaver, avendo lasciato precocemente gli studi.
Insegnanti sottopagati, ma ancora motivati. Al di là degli stipendi contrattuali degli insegnanti, che sono tra i più bassi in Europa a qualunque stadio della carriera, la retribuzione lorda media effettiva dei docenti italiani, comprensiva di eventuali bonus e indennità, espressi in dollari a parità di potere d’acquisto, oscillano dai 39.569 dollari nella scuola dell’infanzia ai 44.843 dollari dei docenti dei licei (un valore inferiore alla media Ue: 51 633 dollari). Tra il 2010 e il 2022 gli stipendi dei docenti italiani della scuola secondaria di secondo grado sono diminuiti del 10,7% in termini reali, mentre il valore medio europeo solo del 2,8%. Un docente della scuola secondaria superiore guadagna il 26% in meno di un lavoratore a tempo pieno con istruzione terziaria (nella media Ue solo il 6% in meno): l’Italia si colloca al penultimo posto, davanti solo all’Ungheria. Eppure, la motivazione rimane alta: il 95,9% dei docenti si dice soddisfatto del proprio lavoro.
Università: Dad, new normal e studenti a distanza. Nell’anno accademico 2021-2022 gli iscritti «a distanza» negli atenei tradizionali erano 3.055, l’1,9% del totale. Il 98,0% (161.709 studenti) erano iscritti alle 11 università telematiche riconosciute dal Mur presenti nel nostro Paese con oltre 400 sedi e un’offerta formativa di 149 corsi di studio (+113% rispetto a dieci anni fa). Gli studenti a distanza rappresentano il 9% degli studenti universitari (+266,3% rispetto al 2010). Il 47% proviene dal percorso liceale e il 35,5% da quello tecnico. Si tratta in maggioranza di uomini (51%), diversamente dalla composizione degli iscritti totali, dove il sesso femminile è prevalente (56,5%). Gli stranieri sono il 2,9% (di cui il 57,8% europei). Tra i corsi di laurea scelti sono maggioritari quelli appartenenti all’area disciplinare economica, giuridica e sociale (54,9%), seguiti dall’area disciplinare artistica, letteraria e educazione (17,7%), discipline Stem (17,3%) e area sanitaria e agro-veterinaria (10,2%). La scelta dello studio a distanza è propria di classi di età più avanzate della media. Solo il 29,2% ha meno di 25 anni, rispetto al 69,8% riferito al totale degli iscritti.
Non basta l’orientamento per ridurre il divario di genere nella scelta dei percorsi Stem. Nell’anno accademico 2021-2022 gli iscritti alle lauree Stem erano 494.193 (il 3,1% in più rispetto a due anni prima), pari al 27,1% del totale degli studenti universitari. Di questi, il 37% erano donne (182.960 studentesse). Sebbene ancora minoritaria (il 39,4% delle immatricolazioni), la componente femminile cresce nello stesso periodo a un ritmo superiore: +4,7%. Tra i top performer in matematica ai test Invalsi nell’ultimo anno delle superiori, nell’anno 2019-2020 solo il 45,8% si è iscritto poi a un corso di laurea Stem, ma con una forte differenza di genere: il 56,6% dei maschi e il 33,7% delle femmine.
Studiare a lungo conviene, ma i divari di genere sono ancora profondi. Tra i giovani 25-34enni i tassi di occupazione sono particolarmente bassi, collocando il nostro Paese all’ultimo posto in Europa: il 66,1% il 79,0% medio. Ma confermano il vantaggio competitivo associato al conseguimento di titoli di studio più elevati. Nel 2022 il tasso di occupazione dei 25-34enni con la licenza media è del 53,9%, sale al 67,6% tra chi è in possesso del diploma e arriva al 72,8% tra i laureati. Studiare più a lungo in Italia avvantaggia soprattutto le donne. Tra le 25-34enni il possesso di un titolo di scuola secondaria di secondo grado o post-secondario sviluppa un differenziale, rispetto a chi si ferma a titoli di studio inferiori, di ben 23,5 punti percentuali. Un ulteriore incremento, di 15,3 punti percentuali, rispetto a chi possiede titoli di secondaria di secondo grado o post-secondaria si ottiene con il possesso di un titolo di studio terziario. Se si restringe l’analisi ai soli 30-34enni, il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma tra le donne diventa ancora più marcato, salendo a 23,5 punti percentuali, mentre quello degli uomini si ferma ad appena 3,2 punti percentuali di differenza. Ma il divario di genere investe le retribuzioni. Fatto 100 il salario di un uomo 25-34enne, il salario di una donna della stessa età è pari a 90 tra chi possiede al massimo il titolo secondario di primo grado, a 85 con diploma di scuola secondaria di secondo grado, a 89 con l’istruzione terziaria.