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Rapporto Censis, d’Errico (Unicobas): “Sempre più ignoranti, anche per la cancellazione latino e la riduzione dei programmi scientifici”

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Il commento di Stefano d’Errico, segretario generale Unicobas, sui dati diffusi dal Censis con il Rapporto 2024 evidenzia una forte preoccupazione e sembra indicare che potremmo ormai essere arrivati ad un punto di non ritorno.
L’ignoranza – sottolinea d’Errico – sembra aver raggiunto livelli preoccupanti. Il 50% degli italiani non sa collocare la Rivoluzione francese nel secolo corretto, mentre circa il 30% ignora date fondamentali come l’Unità d’Italia o l’entrata in vigore della Costituzione. E non va meglio neppure con gli eventi più recenti visto il 42% non sa o non ricorda l’anno dello sbarco sulla Luna.
Il rapporto fornisce dati allarmanti e, secondo d’Errico, denuncia un crollo della qualità educativa, frutto di trent’anni di riforme inefficaci. Il 55% dei giovani non conosce Giuseppe Mazzini, e il 43,5% dei diplomatici fatica a comprendere l’italiano scritto, percentuale che sale all’80% negli istituti professionali. Anche il pensiero matematico è in crisi dato che il 13% della popolazione 7 per 8 non fa necessariamente 56.

Secondo d’Errico la decadenza della scuola va attribuita a scelte politiche sbagliate messe in atto da governi di schieramenti diversi; colpevoli, particolare, sarebbero l’eliminazione del latino, la riduzione dei programmi scientifici oltre che la priorità data alle competenze tecniche a scapito di quelle umanistiche.
Sul fronte sociale, il rapporto rivela un aumento di pregiudizi e concezioni arcaiche. Il 26% degli italiani crede che gli immigrati clandestini siano 10 milioni, mentre il 13% ritiene che l’intelligenza sia legata all’etnia. L’omosessualità è considerata una patologia genetica dal 15,3%, e per il 9% “criminali si nasce”.
Si tratta, secondo il segretario generale, di credenze che ignorano i benefici portati dagli immigrati i quali che sostengono il sistema pensionistico e le economie locali. Nelle aree interne, ormai spopolate (+4,6% contro l’1,4% delle zone centrali), la loro presenza garantisce la sopravvivenza di scuole, negozi e servizi essenziali.
D’Errico segnala anche che, nonostante un aumento dell’occupazione del 3,8% rispetto al 2007, la qualità del lavoro è peggiorata. I nuovi impieghi sono spesso precari, mal pagati e privi di prospettive, contribuendo al declino del PIL rispetto agli altri Paesi.
La crisi economica si riflette anche sul welfare: gli italiani hanno speso 44 miliardi per la sanità privata, mentre la denatalità raggiunge livelli drammatici. Non deve quindi sorprendere che il 68% della popolazione si senta tradito dalla democrazia e che oltre 100mila giovani, spesso laureati, lascino il Paese ogni anno.
La conclusione è preoccupata e preoccupante: siamo forse di fronte ad un declino inarrestabile e definitivo? La storia riserva spesso sorprese impensabili ma certamente non c’è da stare tranquilli.