L’Italia, purtroppo, come risulta dai recenti rapporti della Commissione Europea, non vanta un sistema scolastico aggiornato ed all’avanguardia sotto il profilo tecnologico e del welfare per docenti e personale scolastico. Nonostante la vasta gamma di tools a libero accesso, open source, disponibili sul mercato anche di complessa caratura, pare che il corpo docenti, anche per mancanza strategica di risorse e formazione dedicata verso un cambio di approccio alla didattica digitale, preferisca ancora ricorrere a lavagna e gesso.
Nonostante la retorica di Scuola Digitale parte della riforma della Buona Scuola dell’esecutivo Renzi, con tutti gli investimenti del caso, tutte le buone intenzioni si sono trovate faccia a faccia con una realtà molto diversa, fatta di strutture obsolete, approcci anacronistici e malfunzionamenti vari. Il Belpaese, all’arrivo dell’emergenza sanitaria, si è trovato impreparato con la DAD, dovendo ricorrere all’uso di piattaforme private piuttosto che sviluppare un portale in-house.
Sin dalla riforma Gelmini si riteneva indispensabile, anche al di fuori delle aule dedicate all’insegnamento delle discipline grafiche ed informatiche, una connessione internet stabile e di qualità. Le gare di appalto, i pochi fondi stanziati hanno reso impossibile la concretizzazione di tale iniziativa, lasciando interi istituti isolati e fuori da un già lentissimo progresso tecnico-digitale del settore.
Al momento, secondo l’ultimo rapporto DESI – Digital Economy and Society Index –, l’Italia si piazza al 18esimo posto a livello europeo per l’innovazione digitale e tecnologica in classe. Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia restano le realtà più avanzate e virtuose. Tuttavia, anche questi paesi devono far fronte a lacune in aree chiave: l’adozione di tecnologie digitali avanzate come l’intelligenza artificiale e i Big Data rimane al di sotto del 30% e molto distante dall’obiettivo del 75% del decennio digitale del 2030; il report sostiene che sia una generale carenza di competenze che rallenta il progresso complessivo e favorisce esclusione digitale.
Solo il 54% degli europei di età compresa tra 16 e 74 anni possiede almeno competenze digitali di base acquisite attraverso corsi, a scuola o da autodidatta. L’obiettivo del decennio digitale UE è almeno dell’80% entro il 2030. Inoltre, sebbene 500.000 specialisti ICT siano entrati nel mercato del lavoro tra il 2020 e il 2021, i 9 milioni di specialisti ICT dell’UE sono ben al di sotto dell’obiettivo UE di 20 milioni di specialisti entro il 2030 e non sono sufficienti per colmare le carenze di competenze che le imprese devono affrontare attualmente.
Nel corso del 2020, più della metà delle imprese dell’UE (55%) ha segnalato difficoltà nel coprire i posti vacanti di specialisti ICT. Un esempio fulgido arriva dall’Estonia, che scampa positivamente al report negativo che scatta un’istantanea assai preoccupante sul continente e la relativa digitalizzazione: la copertura di rete è al 99%, tutte le attività, tra le quali quelle che prevedono interazione con la Pubblica Amministrazione, si possono svolgere on-line, anche a scuola. Lo stesso vale in Finlandia, ove l’Ambasciatore in Italia Pia Rantala-Engberg, già nel 2019, aveva dichiarato alla stampa locale che: “Nel nostro sistema alla capacità di leggere e scrivere si affianca un’alfabetizzazione digitale di prim’ordine. Non solo: c’è garanzia di uguaglianza e di inclusione. Ma, lo sottolineo, abbiamo tante, tantissime sfide ancora da vincere”.
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