Il settore educativo e dell’istruzione, purtroppo, si contraddistingue nel Belpaese per i limitati investimenti sull’ammodernamento delle strutture, sulla formazione continua dei docenti, sull’aggiornamento storico dei programmi e sulla garanzia di migliori condizioni occupazionali, salariali e di welfare, dato l’oramai arcinoto lavoro sommerso non retribuito che colpisce i lavoratori di settore: compiti, organizzazione delle lezioni e dei relativi contenuti, allestimento di OSA, unità didattiche e via dicendo non sono conteggiate nell’organico orario.
Tra quelli che se la cavano peggio, secondo l’annuale rapporto emesso dalle istituzioni europee, figurano i docenti della scuola primaria, i cui arruolamento ed abilitazione sono caratterizzati da stipendi bassissimi, mobilità professionale estrema e welfare pressoché inesistente in Italia. Il gap salariale è elevatissimo, e si accentua ulteriormente dopo 15 anni di insegnamento, divenendo imbarazzante. Seguono dati e considerazioni.
L’abisso tra Italia e UE: 11.000 euro di gap salariale. Una questione di anni di servizio
I maestri e le maestre della scuola primaria presentano condizioni di lavoro massacranti, come già sollevato da reports analoghi ad Eurydice, nonché vantano un importo complessivo disposto pari a -8.000 euro in meno, a livello annuale, rispetto ai colleghi europei.
Dopo un servizio di quindici anni, per via delle conquiste salariali previste dalle normative interne dei paesi UE, tale gap arriva ad 11.000 euro, collocando il nostro paese, di fatto, al livello salariale dei Balcani occidentali. Tale gap, come calcolato dal rapporto suddetto, va ad interessare tutti i dipendenti del comparto istruzione, tra cui i docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, anch’essi penalizzati rispetto agli omologhi europei.
Le statistiche, inoltre, rendono note le procedure di assunzione lente, spesso bloccate da tonnellate di burocrazia, tradotte in mobilità schizoide, precariato e limitati scatti stipendiali rispetto ai colleghi europei afferenti al medesimo comparto professionale.
Scatti lenti, burocrazia invalidante e stipendi bassi: il consueto – e tragico – quadro italiano
Eurydice, rapporto completo e pubblico, ha reso note anche le tempistiche attraverso le quali un docente possa aspirare al massimo aumento stipendiale se proporzionato agli anni di servizio prestati a scuola. La media UE oscilla tra i 5 e i 15 anni, sulla base anche delle valutazioni intra-carriera ottenute, dai crediti di formazione continua conseguiti e dal gradimento complessivo dell’operato didattico da parte di alunni, plesso e famiglie.
Nel Belpaese il dato poc’anzi espresso tende quasi a triplicare: sono necessari quasi 35 anni ad un docente italiano per ambire al massimo aumento stipendiale. Anche per quanto concerne l’importo corrisposto ad inizio carriera figurano degli osceni gaps: in Germania, ad esempio, lo stipendio suddetto risulta doppio rispetto a quello percepito dagli omologhi italiani.
Gli aumenti previsti in numerosi paesi europei, tra cui Germania, Austria, Polonia, Baltici e Paesi Bassi, sono vincolati anche al merito dei docenti: in via generale, sono comunque in aumento, in via complessiva, in tutto il Vecchio Continente per via del crollo del potere d’acquisto e dell’elevata considerazione della professione docente rispetto al Belpaese.