L’internazionalizzazione della didattica e la relativa – mai secondaria – digitalizzazione costituiscono oramai da un decennio le sfide non esclusivamente metodologiche, ma anche pratiche del corpo docente. Da un decennio INDIRE, Isituto di Ricerca italiano storicamente orientato su formazione e didattica scolastica, emette un rapporto semestrale relativo all’insegnamento delle lingue straniere e non solo, basandosi su Eurydice ed i dati europei raccolti. Gli Standard di Barcellona del 2019 scorso costituiscono non solo a livello istituzionale, ma anche metodologico e contenutistico, la pietra miliare dell’insegnamento delle lingue straniere in Europa.
Già dai trattati di Roma, base pratica dell’istituzione della famiglia europea, l’accenno alla diversità linguistica e culturale degli stati membri si trovava al centro di considerazioni e dibattiti. L’UE, attraverso il relativo Trattato, garantisce normativamente “il rispetto della ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo”. A Barcellona, nel 2002, si è deciso di provvedere all’insegnamento delle lingue straniere a scuola, con un aggiornamento dei relativi obiettivi su base quinquennale. Anche la Risoluzione del Consiglio su un nuovo quadro strategico per la cooperazione europea in materia di istruzione e formazione verso lo Spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021-2030), adottata a febbraio 2021, ha identificato il sostegno all’insegnamento e all’apprendimento delle lingue e al multilinguismo come un’azione concreta per la cooperazione europea al fine di garantire qualità, equità, inclusione e successo nell’istruzione e nella formazione, insiste INDIRE, anche sulla base dei recenti e sempre più importanti fenomeni migratori.
L’elaborato recente di INDIRE verte sui dati emessi da Eurydice, divenuto il riferimento dell’evoluzione didattica europea ed i relativi obiettivi. Il rapporto comprende 51 indicatori che coprono un’ampia gamma di temi rilevanti per la politica sulle lingue a livello europeo e nazionale, come la mobilità transnazionale degli insegnanti di lingue per scopi professionali, il numero e la varietà di lingue studiate a scuola, il tempo dedicato all’insegnamento delle lingue, i livelli di risultati attesi per la prima e la seconda lingua straniera e le misure di sostegno all’apprendimento delle lingue per gli studenti immigrati nuovi arrivati. Contemplati anche gli idiomi classici e minoritari ed il relativo insegnamento. Rispetto a due decenni fa, l’insegnamento delle lingue straniere è sempre più precoce in Europa ed Italia. Lo studio di una seconda lingua straniera inizia di solito, in Europa come in Italia, a livello di istruzione secondaria inferiore. In Europa, infatti, il 59,2% degli studenti di questo livello studia due o più lingue straniere. In 12 sistemi d’istruzione, compreso quello italiano, la percentuale arriva a più del 90%. L’idioma più appreso è l’inglese nella scuola primaria e secondaria. In 11 paesi (Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Malta, Austria, Polonia, Svezia, Liechtenstein e Macedonia del Nord) oltre il 90 % degli studenti lo studia. Al 2020 la seconda lingua è il francese seguita dal tedesco. Il 27, 4 % dei docenti di lingue straniere ha beneficiato di un programma di mobilità transnazionale finanziato dall’UE tra il 2013 e 2018 (visto anche il recente lancio di ERASMUS+ per il corpo docente).
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