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Rapporto Istat 2023: scuole poco sicure, flessione della dispersione scolastica, salari bassi e ancora troppi Neet

Oggi, 7 luglio, alle ore 11, è stato presentato il rapporto annuale Istat: ecco quali elementi a proposito di società, demografia e scuola sono emersi dall’analisi, come ben riassume Ansa. L’edizione 2023 del rapporto, si legge nel sito di Istat, intende fornire una base informativa e di analisi ampia e rigorosa a supporto delle sfide che il Paese sta affrontando.

Innanzitutto, gli indicatori del benessere dei giovani, in Italia, sono ai livelli più bassi in Europa e, nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione, 4 milioni e 870 mila persone. Secondo l’Istat, la dimensione con maggiori difficoltà è quella di istruzione e lavoro.

Inoltre circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). La quota di Neet cala fino a tornare a un livello prossimo al minimo del 2007, ma resta sopra la media Ue di oltre 7 punti e più bassa solo a quello della Romania. Il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri (28,8%). In Sicilia i sono quasi un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni, mentre la quota raggiunge il valore minimo, 9,9%, nella Provincia autonoma di Bolzano. L’incidenza dei Neet diminuisce al crescere del titolo di studio: è di circa il 20% tra i giovani diplomati o con al più la licenza media, mentre si ferma al 14% tra i laureati.

Il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri (28,8%). In Sicilia i sono quasi un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni, mentre la quota raggiunge il valore minimo, 9,9%, nella Provincia autonoma di Bolzano. L’incidenza dei Neet diminuisce al crescere del titolo di studio: è di circa il 20% tra i giovani diplomati o con al più la licenza media, mentre si ferma al 14% tra i laureati.

È un fenomeno che si associa a un tasso di disoccupazione giovanile elevato (il 18%, quasi 7 punti superiore a quello medio europeo), con una quota di giovani in cerca di lavoro da almeno 12 mesi tripla (8,8%) rispetto alla media europea (2,8%). Circa un terzo dei Neet (559 mila) è disoccupato, nella metà dei casi da almeno 12 mesi (il 62,% nel Mezzogiorno, contro il 39,5% nel Nord). Mentre quasi il 38 % dei Neet (629 mila) non cerca lavoro né è disponibile a lavorare immediatamente. Quest’ultimo gruppo si divide tra chi è in attesa di intraprendere un percorso formativo (il 47,5% tra i ragazzi), chi dichiara motivi di cura dei figli o di altri familiari non autosufficienti (il 46,2% tra le ragazze) e chi indica problemi di salute; solo il 3,3% dichiara di non avere interesse o bisogno di lavorare. Oltre tre quarti dei Neet vivono da figli ancora nella famiglia di origine e solo un terzo ha avuto precedenti esperienze lavorative, un valore che varia tra il 6,8% per chi ha meno di 20 anni, il 46,7% per chi ha 25-29 anni.

I dati sulla scuola

L’11,5% ha abbandonato senza ottenere diploma superiore nel 2022: tra i 18 e i 24enni, nel 2022, l’11,5 per cento ha abbandonato precocemente gli studi, senza conseguire un diploma secondario superiore. In questo caso, il distacco con l’Ue27 in un decennio si è ridotto da 4,7 punti percentuali a soli 1,9. L’incidenza degli abbandoni è superiore di oltre 4 punti tra i maschi rispetto alle femmine e, sul territorio, sfiora il 18 per cento nelle Isole. Inoltre in Italia, nel 2021 il tasso di espatrio per i laureati di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne. Il fenomeno degli espatri, differenziato sul territorio nazionale, si associa col permanere di una forte migrazione di giovani qualificati dalle province del Mezzogiorno verso quelle economicamente più dinamiche del Centro e, soprattutto, del Nord, che nel complesso registrano quindi un bilancio positivo. Tra il 2012 e il 2022, la quota di giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è cresciuta di 6 punti percentuali, raggiungendo il 78 per cento. Questa rimane però ancora di 7,4 punti al di sotto della media europea (se si considera la classe 25-64 anni, il distacco arriva a 16,5 punti). Permane lo svantaggio del Mezzogiorno (per i giovani 25-34enni la differenza con la media nazionale è di 4,7 punti percentuali al Sud e 9,1 nelle Isole), e la situazione più favorevole per le ragazze, con una quota di oltre 5 punti superiore a quella dei coetanei maschi.

Il 60% delle scuole non ha tutti i certificati di sicurezza: La maggior parte degli edifici scolastici statali in Italia non dispone di tutte le attestazioni relative ai requisiti di sicurezza: le certificazioni sono detenute da poco meno del 40 per cento dei casi. Riguardo alla raggiungibilità con il trasporto pubblico, si osserva uno svantaggio significativo per il Mezzogiorno: il 14,8 per cento degli edifici considerati risulta poco raggiungibile, sia con scuolabus sia con i collegamenti pubblici (7,8 per cento nel Centro e 5,7 per cento nel Nord). La spesa pubblica per istruzione in rapporto al Pil, inoltre, mostra un minore impegno del nostro Paese per questa funzione rispetto alle maggiori economie europee (4,1 per cento del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8 per cento).

L’Italia invecchia

Mai così tanti ultracentenari in Italia, sono 22mila Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre duemila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80 per cento dal 2000 a oggi. Gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”: nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni.

L’Italia invecchia sempre di più, l’età media sale a 46 anni Prosegue in Italia il processo di invecchiamento della popolazione: l’età media è salita da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. Il dato emerge nonostante l’elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l’89,7 per cento riguardante persone con più di 65 anni. Nel 2022 inoltre la stima della speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne: solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora al di sotto di quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di oltre 7 mesi inferiori rispetto al 2019, sia tra gli uomini, sia tra le donne.

La trappola della povertà, passa di padre in figlio In Italia la “trappola della povertà” è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea e sta aumentando più che altrove, a confronto con il 2011. Quasi un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2019, indicano in Italia il valore più alto tra i principali paesi europei e nel complesso dell’Ue inferiore solo a quello di Bulgaria e Romania.

Calano in Italia gli individui in età attiva, sono 37,3 milioni Risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva, quanto i più giovani: i 15-64enni scendono a 37 milioni 339mila (sono il 63,4 per cento della popolazione totale), mentre i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila (12,5 per cento). La popolazione ultrasessantacinquenne ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, e costituisce il 24,1 per cento della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva comunque un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7 per cento della popolazione totale.

Stipendi troppo bassi

Salari inferiori alla media Ue di 3.700 euro, -12% I lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi. La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a quasi 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media Ue e del 23% a quella tedesca, nel 2021, a parità di potere d’acquisto. Il Rapporto indica che, tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli stessi anni, è sceso del 2% (+2,5% negli altri paesi).

Il bonus non basta per 25% famiglie in povertà energetica: oltre una famiglia su quattro risulta ancora in povertà energetica dopo aver ricevuto i bonus sociali per l’elettricità e il gas, il 25,1%, secondo il rapporto annuale dell’Istat. L’ammontare dei bonus sociali, pensati per mitigare l’impatto sulle famiglie della crescita dei prezzi dei beni energetici, è in media di 992 euro per famiglia beneficiaria e oltre il 90% del valore totale della spesa va alle famiglie più povere, quelle nei primi due quinti di reddito. Complessivamente le famiglie che hanno una spesa energetica troppo elevata unite a quelle il cui reddito scende sotto la soglia di povertà, una volta fatto fronte alle spese energetiche, sono l’8,9% di quelle residenti in Italia. L’Istat sottolinea che “l’impatto della crescita dei prezzi dei beni energetici è stato relativamente più pesante per le famiglie con più bassi livelli di spesa” e “nel medio periodo il processo di transizione ecologica è destinato a modificare radicalmente le fonti e i prezzi dell’energia e, anche in virtù della sperequazione nell’impatto della variazione dei prezzi energetici, non si può dare per scontato che i costi e i benefici di questo processo siano distribuiti in modo equo”.

A rischio 3,6 milioni di occupati nel 2041: la popolazione in età da lavoro nel 2041 si ridurrà di oltre il 12%, secondo le previsioni dell’Istat nel rapporto annuale con una possibile perdita di 3,6 milioni di occupati. Questa tendenza non va intesa però come “un destino ineluttabile”, osserva il rapporto, perché l’aumento dei tassi di occupazione, in particolare per i giovani e le donne, potrebbe “compensare la perdita prevista nel numero di occupati e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi”. L’Istat calcola che raggiungere i tassi di occupazione attuali dell’Ue27, superiori a quelli italiani di circa 9 punti percentuali, nel 2041 porterebbe a ridurre la perdita di occupazione di oltre due terzi (da 3,6 milioni a 1,1 milioni). Se si colmasse, inoltre, il divario nella fascia di età 20-24 anni, che è pari a 18 punti percentuali, si otterrebbe un recupero di ulteriori 240 mila occupati. Sul territorio, l’entità della riduzione sia delle fasce in età di lavoro sarà maggiore nel Mezzogiorno (in Basilicata si stima una contrazione del 30%), mentre il Centro-Nord sarà favorito dalla dinamica migratoria in ingresso. Complessivamente, tra il 2021 e il 2050, è attesa una riduzione della popolazione residente in Italia pari a quasi 5 milioni, fino a poco più di 54 milioni e il continuamento del processo di invecchiamento.

In Italia 673 auto ogni 1000 abitanti, al top nell’Ue: nel 2021 circolavano in Italia 39,8 milioni di autovetture, 673 ogni mille abitanti. Tra i paesi Ue, soltanto Polonia e Lussemburgo superano questo valore pro capite, che nelle altre maggiori economie dell’Unione si attesta su livelli molto più bassi (583 in Germania, 571 in Francia, 525 in Spagna). Del resto, l’Istat ricorda che circa un terzo delle famiglie è insoddisfatto dei trasporti pubblici: prima della pandemia, nel 2019, il 33,5% dichiarava molta o moltissima difficoltà di collegamento nella zona in cui risiede. Al tempo stesso, rimane elevata la quota di coloro che usano abitualmente il mezzo privato per raggiungere il luogo di lavoro (74,2%) e rimane bassa la quota di studenti che usano solo i mezzi pubblici per recarsi al luogo di studio (28,5%).

Mai così poca acqua, nel 2022 è al minimo storico: nel 2022 la riduzione delle piogge e l’aumento delle temperature hanno fatto registrare una riduzione della disponibilità di acqua in Italia che ha raggiunto il suo minimo storico, quasi il 50% in meno rispetto all’ultimo trentennio 1991-2020. Il documento sottolinea la “persistente criticità dell’infrastruttura idrica”, dove, nel 2020, il 42,2% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile non arriva agli utenti finali”. “La siccità e i problemi di approvvigionamento di acqua hanno influito pesantemente sull’annata agricola appena trascorsa, facendo registrare, nei conti economici nazionali, una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell’occupazione del settore agricolo”, continua il testo. Il calo dei volumi di produzione nel 2022 ha caratterizzato tutti i comparti produttivi tranne quelli frutticolo, florovivaistico e le attività secondarie; in flessione coltivazioni (-2,5% in volume), legumi (-17,5%), olio d’oliva (-14,6%), cereali (-13,2%), piante foraggere (-9,9%), ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%).

Più consapevolezza sull’ambiente, calano le emissioni: “Sempre maggiore attenzione e consapevolezza dei problemi ambientali è espressa dalla popolazione del nostro Paese che nel 2022 per oltre il 70% considera il cambiamento climatico o l’aumento dell’effetto serra tra le preoccupazioni prioritarie”. Alcune delle azioni messe in campo per attenuare l’impatto dell’uomo sull’ambiente “hanno avuto esiti positivi”, spiega l’istituto. In particolare vengono segnalati il calo delle emissioni di gas serra che nel 2019, prima della battuta d’arresto dovuta alle misure anti-Covid, erano il 24% in meno rispetto al 1990. “L’Italia è tra i cinque paesi Ue27 che forniscono il contributo maggiore a tale riduzione”, sottolinea il testo. Passi avanti ci sono anche sull’inquinamento dell’aria che ha registrato un miglioramento e nell’espansione dei boschi e delle aree protette, sia terrestri sia marine. Altre azioni, “come lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e la gestione dei rifiuti urbani, nonostante i progressi fatti, richiedono di intensificare gli sforzi per accelerare la transizione verso un’economia circolare”, osserva l’Istat. Per esempio, nel 2021, rallentano i progressi nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani, che è al 64%, ancora al di sotto del target nazionale del 65% fissato per il 2012.

Redazione

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