Come abbiamo anticipato sono stati resi noti i risultati Ocse sull’Istruzione e l’apprendimento nel nostro Paese e negli altri 11 dell’unione, pubblicati sul rapporto EDUCATION AT A GLANCE 2022. Complessivamente, i dati sono ancora lontani dall’essere accettabili, specie se si considerano le percentuali di spesa sul Pil.
Tutti i Paesi dell’OCSE destinano una quota consistente del loro prodotto interno lordo agli istituti di istruzione. Nel 2019, i Paesi dell’OCSE hanno speso in media il 4,9% del loro PIL per gli istituti di istruzione dal livello primario a quello terziario. In Italia, la quota corrispondente è stata invece pari al 3,8%. Quasi un punto di Pil in meno. Tra il 2008 e il 2019, la spesa per gli istituti di istruzione intesa come quota del PIL è diminuita di 0,1 punti percentuali.
Un tema affrontato di recente anche dalla Fondazione Agnelli, che ha riferito stime più ottimistiche, parlando di un investimento del 4,3 del Pil per il 2008 e per il 2020, a fronte del 3,8 per il 2019 di cui parla il rapporto Ocse.
E del resto i dati Ocse sono coerenti con le previsioni impietose che conosciamo già a partire dal documento del Mef: la tabella relativa alle previsioni di spesa per i prossimi decenni ci riferisce che se nel 2020 la spesa per l’istruzione è stata pari al 4% del totale, nel 2025 scenderà al 3,5%, per mantenersi intorno al 3,4-3,5% negli anni successivi. Uno scenario che potrebbe persino peggiorare se il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione dovessero aumentare ulteriormente, come spiega il nostro vice direttore Reginaldo Palermo, in un articolo precedente.
E per tornare al rapporto Education at a glance 2022, fra il 2000 e il 2021 i livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente della media dei paesi OCSE. La quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta infatti di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. L’Italia resta uno dei 12 paesi OCSE in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso nella fascia 25-34 anni.
Venendo all’analisi del lavoro degli insegnanti, a quanto pare i docenti impiegano una parte importante del loro orario di lavoro in compiti diversi dall’insegnamento, come la preparazione delle lezioni e la valutazione delle verifiche. In alcuni Paesi, ai docenti è richiesto di insegnare per meno di un terzo del loro orario lavorativo complessivo, mentre in altri ci si aspetta che insegnino per quasi due terzi del loro orario di lavoro. In base ai regolamenti ufficiali, gli insegnanti di tutta l’area dell’OCSE devono insegnare in media quasi mille ore all’anno a livello
pre-primario, quasi 800 ore a livello primario, e circa 700 ore a livello secondario.
Il numero medio di ore di insegnamento all’anno richiesto a un insegnante tipo negli istituti pubblici dei Paesi dell’OCSE tende a diminuire con l’aumentare del livello di istruzione. Questo vale anche per l’Italia. In base ai regolamenti e agli accordi ufficiali, i docenti italiani insegnano 945 ore all’anno a livello pre-primario, 744 ore a livello di scuola primaria, 608 ore a livello di scuola secondaria di primo grado (programmi a indirizzo generale) e 608 ore a livello di scuola secondaria di secondo grado (programmi a indirizzo liceale).
Quanto agli stipendi, in Italia, gli insegnanti di scuola secondaria inferiore (programma a indirizzo generale) guadagnano il 27,4% in meno rispetto agli altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria.
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