In questi giorni si sta parlando più del rave party che di costi dell’energia e della tragedia ucraina.
Viviamo cioè in balia di ondate emozionali, e facciamo fatica a fermarci un attimo e a meditare in controluce, su queste e altre criticità.
È ovvio, ce lo possiamo dire: il rispetto delle norme di sicurezza è sacrosanto. Ma quasi ci siamo dimenticati che giovani lo siamo stati anche noi, e che, a parte le estremizzazioni, va comunque garantito il diritto di essere appunto giovani. Va garantito, cioè, un po’ anche il diritto di sbagliare, cercando poi di recuperare e di maturare un dialogo che non si fermi solo ai dei “no” preventivi.
Il problema è che mancano i luoghi educativi, e la famiglia e la scuola, oggi in piena scia di una svolta competitiva secondo un fumoso merito, sono sempre più in difficoltà.
Mentre conta di più, vista la società, l’aspetto educativo su quello meramente nozionistico. Il dialogo educativo, cioè, non va mai azzerato, non può essere mai azzerato.
L’idea del Governo di fermare per decreto i rave party e i raduni vari con più di 50 persone perché illegali è a prima vista comprensibile e legittima, proprio perché illegali e con risvolti di pericolo. Ma non ci si può fermare qui. Non basta il cosiddetto “pugno di ferro”, criminalizzando a prescindere ogni forma non prevista di trovarsi in gruppo. Deve essere invece l’occasione per iniziare un percorso di riflessione aperta sui valori e sui limiti di una domanda che comunque esiste di relazione, di stare assieme, di condividere momenti ed esperienze.
Non ci può sottrarre, cioè, alla responsabilità educativa, la quale va anzitutto riconosciuta alle famiglie, che i figli siano adolescenti o più grandi, che vivano ancora in casa, oppure già per conto proprio. Il dialogo, cioè, anzitutto, in una responsabilità che va comunque mantenuta.
Ovvio che sarebbe giusto aspettarsi da uno Stato non solo il rispetto della legalità, preventiva e repressiva, nei casi estremi, ai fini della sicurezza e della salute, ma prima ancora azioni e risorse per favorire luoghi idonei, nelle strutture pubbliche e nelle realtà sociali come i vecchi oratori e i luoghi sociali, perché nascano e fioriscano e si rinforzino iniziative con e per gli adolescenti ed i giovani, in grado di rispondere alle loro nuove domande di socializzazione.
Perchè le scuole, ad esempio, non potrebbero essere realmente aperte tutto il giorno, con finanziamenti alle stesse scuole con gli enti locali a coordinare iniziative di larga scala?
È facile cavarsela con i no, più difficile assumersi la responsabilità dei sì, con proposte concrete. Come per l’uso dei cellulari a scuola: è facile cavarsela, anche in questo caso, coi divieti, difficile è aiutarli all’uso equilibrato ed intelligente. Uso intelligente significa riuscire a mantenere la giusta distanza anche dai nostri limiti, dai nostri errori, dalle nostre trasgressioni. Perché poi sarà la vita a dire la strada di ciascuno, distinguendo sempre e comunque mezzi e i fini. E i cellulari e i rave party sono pur sempre mezzi, leciti e no, per cercare quel senso che possa dare gusto e valore alla vita. La quale va vissuta sapendo, molte volte a proprie spese, che siamo pur sempre noi a dare alle cose il potere anche di farci del male.
Ai nostri ragazzi e giovani, che vivono oramai nel cosiddetto metaverso come fosse casa loro: dobbiamo trovare assieme forme di vita sperimentata che li formi a quel principio di libertà come responsabilità che saranno costretti a maturare via via crescendo.
Visto il mondo futuro che noi stiamo scaricando su di loro, vale la pena che ci pensiamo bene, per aiutarli a crescere in modo sì libero, ma secondo, appunto, responsabilità.
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