Concorsi? “Occorrerebbe un reclutamento aperto da parte delle scuole e degli enti locali. Un concorso è aperto a tutti, sì, ma i concorsi vengono fatti raramente. Una volta che avessimo un livello di abilitazione pervasivo e di qualità elevata, potremmo pensare anche a diversi metodi di ingresso come il concorso a livello di scuola, ovvero è la scuola che mette a bando le cattedre di cui ha bisogno”. Così Andrea Gavosto (Fondazione Agnelli) durante un’assemblea Flc Cgil sul tema del reclutamento.
In altre parole – spiega il presidente della fondazione Agnelli – “bisogna distinguere tra il momento dell’abilitazione (requisiti che la collettività chiede ai docenti per entrare in aula) e l’assunzione vera e propria che abbina le competenze dei docenti con le esigenze della scuola”.
“Sul tema dell’assunzione in Europa c’è una enorme varietà, in alcuni Paesi tipicamente del sud Europa si ricorre ai concorsi o alle graduatorie, in altri Paesi invece c’è un reclutamento aperto delegato alle scuole o agli enti locali,” chiarisce. E fa il punto sulle due opzioni.
Un tema, quello della chiamata diretta, caro anche al presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli, ma che incontra forte resistenza sindacale, come sottolinea Andrea Gavosto.
“Quello che manca in Italia – continua il presidente di fondazione Agnelli – è la fissazione di standard precisi che ci indichino cosa ci aspettiamo dai docenti. Sono stati tentati vari esperimenti. Oggi non abbiamo una lista di quello che come collettività riteniamo indispensabile che un docente sappia fare per essere insegnante”.
“Un esempio di sistema che funziona particolarmente bene è quello tedesco – ci ricorda -. In Germania chi vuole diventare insegnante ha una laurea triennale sulla disciplina; una laurea magistrale durante la quale si continua a studiare la disciplina ma si introducono anche elementi di didattica; poi si passa attraverso un esame di Stato, a seguire il servizio preparatorio che può durare fino a due anni e infine un secondo esame di Stato che ti dà accesso alla professione”.
E parla della necessità di cambiare paradigma: “Da noi, almeno nella scuola secondaria, prima si studia la disciplina e poi solo in una seconda fase si studia la metodologia didattica e la pratica del tirocinio,” ma è un modello sequenziale che andrebbe sostituito con un modello parallelo, afferma Andrea Gavosto e spiega: “Io studio la disciplina e intanto entro nelle aule per verificare se sono portato per il mestiere dell’insegnante,” questo sarebbe il modello efficace su cui muoversi, per essere certi che i futuri insegnanti possano scoprire in tempo la propria vocazione o al contrario la propria mancanza di vocazione.
Non a caso – aggiunge – “quello che i docenti dichiarano è che si sentono particolarmente formati sul disciplinare, ma sul fronte della didattica d’aula i docenti non si sentono sufficientemente preparati”.
Ecco perché, secondo il presidente della Fondazione Agnelli, bisognerebbe partire dalla formazione iniziale, come primo tassello della riforma: “Se osserviamo il sistema di assunzione e formazione iniziale in Italia, rispetto agli altri Paesi, vediamo che in Italia non vi è nessuna verifica delle competenze didattiche dei docenti neoassunti e vi è un continuo ingresso nel sistema di docenti non abilitati. Peraltro l’esaurimento del doppio canale porta ad avere numeri enormi di cattedre non coperte ma nel contempo anche un alto numero di precari: un mismatch sia geografico che disciplinare,” avverte Andrea Gavosto.
“La formazione iniziale è davvero delicata, sostiene il presidente della Fondazione Agnelli. Se garantiamo che la scuola attrae i migliori laureati nei vari campi, ecco che la qualità dell’Istruzione cresce, la partita va giocata sulla riforma della formazione iniziale“.
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