“In difesa della qualità e della libertà d’insegnamento” è il titolo dell’appello che Manifesto Scuola sta promuovendo in rete e sul quale sono già state raccolte numerose firme anche di docenti e personaggi prestigiosi (Ernesto Galli della Loggia e Alessandro Barbero fra i tanti).
Secondo gli estensori del documento, da almeno 30 anni sarebbe in atto nel nostro Paese una “politica scolastica di carattere sempre più regressivo”: “Governi di differente orientamento politico, ma in piena sintonia con il progetto di destrutturazione di una scuola di qualità finalizzata alla formazione culturale degli studenti – si legge nell’appello – continuano, provvedimento dopo provvedimento, nello sforzo di eliminare le resistenze dei docenti migliori, che ancora combattono a sostegno della cultura, della qualità del loro insegnamento e di quello che la scuola per diritto dovrebbe essere e che da tempo, nei fatti, in larga misura non è più”.
Il dato più grave, tuttavia, sarebbe ancora un altro: “Continua la pressione sui docenti, che non si sono ancora arresi a un modello di scuola sempre più impostata, da una parte, secondo un modello organizzativo interno di carattere aziendalistico, totalmente estraneo a quelli che dovrebbero essere i suoi obiettivi culturali e civili, così come sanciti dalla Costituzione repubblicana; dall’altra, sempre più simile a una struttura terapeutica velleitaria e fallimentare piuttosto che a un’istituzione con finalità di formazione culturale e civile”.
“Tale pressione – proseguono – è progressivamente aumentata, con una serie di norme volte a limitare la libertà d’insegnamento e a dissolvere l’alto profilo professionale del docente come esperto di una disciplina, in una funzione impiegatizia di ‘operatore’ o ‘facilitatore’, come recitano molti documenti ministeriali”.
La protesta riguarda più precisamente la nuova organizzazione dei concorsi per futuri docenti.
Secondo quanto evidenziato nell’appello “Le Disposizioni in materia di reclutamento del personale scolastico e acceleratorie dei concorsi PNRR prevederanno infatti una prova scritta, per accedere agli orali, totalmente non disciplinare, ‘con più quesiti a risposta multipla volta all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato in ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico-metodologico, nonché sull’informatica e sulla lingua inglese’. Un filtro, dunque, con le solite sminuenti modalità dei quiz, per impedire l’accesso alla funzione docente a chi non si sia adeguato al pensiero pedagogico unico ministeriale, che autopresuppone una propria inesistente scientificità, non suffragata da nulla al di fuori dell’arroganza e dell’autoreferenzialità di chi la sostiene”.
Saremmo cioè oggi di fronte ad una vera e propria deriva “tecnocratica” e “pedagogicista” tesa a sminuire la rilevanza delle conoscenze e delle discipline; si tratta peraltro di “un approccio fatto oggetto di critiche durissime e largamente argomentate da parte dei docenti più consapevoli e dal più qualificato mondo culturale e scientifico, con le quali i sedicenti esperti non vogliono e non sanno confrontarsi e che liquidano con giudizi politici di arretratezza, che definire superficiali, infondati e privi di onestà intellettuale è un generoso eufemismo”.
Sarebbe insomma in atto il tentativo di selezionare solo docenti allineati con il pensiero pedagogico unico; d’altronde – sostengono estensori e firmatari del documento – su questa strada va anche il DPR 81 del 13 giugno 2023 (“Codice di comportamento dei dipendenti pubblici”) che, all’art. 11-ter, comma 2, recita: “In ogni caso il dipendente [pubblico] è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale. Una norma agghiacciante, in pieno contrasto con la libertà d’opinione e d’espressione tipica di uno stato democratico e sancita dalla nostra Costituzione: finalizzata a ridurre al silenzio chi sta combattendo da decenni una battaglia di civiltà, difesa e rilancio della centralità della cultura nella scuola e nell’università. Un tentativo di negazione autoritaria delle libertà inalienabili del cittadino che giustamente alcuni rappresentanti sindacali hanno subito individuato come anticostituzionale”.
La conclusione è scontata: “Invitiamo pertanto con la massima determinazione – per il bene dei nostri studenti e della società italiana tutta – i soggetti governativi a cui afferiscono queste decisioni a modificare immediatamente la bozza relativa alle nuove modalità di reclutamento dei docenti, evitando qualsiasi filtro di tipo ideologico e dando nelle prove concorsuali la giusta centralità alle conoscenze disciplinari”.
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