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Reclutamento e formazione dei docenti, il decreto non piace. Ma ormai neppure il presidente della Repubblica può modificarlo

Il decreto legge 36 già convertito dal Parlamento è ormai legge dello Stato a tutti gli effetti, ma le critiche che sta raccogliendo sono molteplici e arrivano da ogni parte.
Le norme più di altre “sotto accusa” sono quelle che riguardano la formazione in servizio che la legge definisce obbligatoria e incentivata.
Ma anche le nuove regole sul reclutamento non piacciono perché molti docenti si aspettavano che la legge consentisse immissioni in ruolo più generalizzate.
Insomma, in tanti avrebbero voluto un provvedimento-sanatoria per contrastare il fenomeno del precariato che coinvolge ormai non meno di 2-300mila insegnanti, soprattutto di scuola secondaria.

Molti gli appelli per evitare l’approvazione della legge

Ancora fino a poche ore prima del voto finale alla Camera, gli appelli di associazioni, movimenti e sindacati per evitare la conversione in legge si sono susseguiti, ma senza risultato.
Adesso – a distanza di qualche giorno – stanno arrivando appelli rivolti anche al presidente Mattarella.
Al Capo dello Stato si chiede – in virtù del suo ruolo di garante della Costituzione – di cancellare le disposizioni del decreto 36 “che intervengono impropriamente e in spregio dell’articolo 33 della Costituzione sul reclutamento e la formazione degli insegnanti”, come scrive per esempio il Gruppo La nostra scuola – Associazione Agorà 33.


Le prerogative del Presidente della Repubblica

Ma è davvero possibile che il Presidente decida di “cancellare” una legge (o parte di essa) già approvata dal Parlamento ?
Stando alla Costituzione, la risposta è assolutamente negativa: il Presidente della Repubblica non solo non può eliminare da una legge dello Stato una o più disposizioni ma neppure può rifiutarsi di firmare una legge prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. O meglio: può farlo, ma una volta sola rimandando il provvedimento alle Camera; tuttavia se il Parlamento decidesse di approvare il provvedimento nella stessa identica forma il Presidente non avrebbe altra scelta che firmare il testo; se non lo facesse potrebbe essere messo sotto inchiesta per “attentato alla Costituzione”.
Ma, evidentemente, chi rivolge tali richieste al Capo dello Stato conosce poco e male la nostra Costituzione e non sa che la nostra non è una repubblica presidenziale.
Ovviamente tutto questo non esclude che, richiamandosi all’inalienabile diritto di espressione, qualsiasi cittadino  si possa rivolgere al Presidente della Repubblica o ad un altro organo dello Stato per chiedere ciò che ritiene più opportuno.

Reginaldo Palermo

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