Categorie: Alunni

Record abbandoni e neet, serve riforma: primaria a 5 anni e obbligo fino a 18

Anticipare la primaria quando gli alunni hanno ancora 5 anni anziché 6 ed estendere l’obbligo scolastico dagli attuali 16 fino ai 18 anni di età: a proporlo è l’associazione sindacale Anief, a seguito della pubblicazione degli ultimi allarmanti dati ufficiali sull’alto numero di abbandoni precoci degli studi, dell’innalzamento della disoccupazione giovanile e dei Neet. Gli ultimissimi numeri sui giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano sono quelli di un “esercito” che si allarga di mese in mese: ormai sono oltre 2 milioni 250 mila, pari al 24%.
Il loro numero, ci dice l’Istat, dal 2008 è aumentato “del 21,1% (+391mila giovani)”. È un andamento di cui occorre preoccuparsi. L’incremento annuo già molto sostenuto nel 2009 e nel 2010, ha fatto registrare un consistente aumento nel 2012. Solo Grecia e Bulgaria presentano incidenze maggiori (27,1 e 24,7%) di Neet. In Italia la quota è infatti molto superiore a quella media dell’Ue27 (rispettivamente 23,9 e 15,9%). Rispetto ad alcuni paesi “vicini”, il confronto diventa quasi imbarazzante: Germania (9,6%), Francia (15,0%) e Regno Unito (15,4%). Anche la martoriata Spagna fa registrare una quota di Neet inferiore (22,6%).
Nel nostro paese il fenomeno è più spiccato al Sud: l’incidenza dei giovani che non studiano e non lavorano raggiunge il livello più alto, il 33,3% (contro il 17,6% nel Centro-Nord), ponendo in luce le criticità di accesso all’occupazione per un gran numero di giovani residenti nel meridione. Sicilia e Campania detengono le quote più elevate, con valori rispettivamente pari al 37,7 e 35,4%, seguite da Calabria e Puglia, con livelli pari al 33,8 e al 31,2%.
Anief torna a ribadire che a fronte di questi dati rimane incomprensibile come nell’ultimo quinquennio nel Mezzogiorno i Governi che si sono succeduti abbiano potuto operare i tagli maggiori al corpo docente di ruolo (fino al 18%) e non di ruolo (anche del 25%). I dati ufficiali indicano, infatti, una riduzione cospicua di insegnanti proprio nelle province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.
Alla luce di questi numeri, considerando che chi dirige l’amministrazione scolastica non ha alcuna intenzione di potenziare il corpo insegnante che opera nelle zone del paese più a rischio abbandoni scolastici, introducendo dei criteri differenziati nella formulazione dell’organico del personale, Anief ritiene che occorra adottare con estrema urgenza un rimedio radicale: anticipare a 5 anni l’inizio della didattica e ‘coprire’ tutti i cicli scolastici, sino al conseguimento del diploma di maturità, superando così l’obbligo scolastico oggi fermo a 16 anni. Con questo doppio passaggio si manterrebbe l’attuale durata complessiva degli studi, 13 anni, senza quindi incidere nella spesa dello Stato. Ma si verrebbero a determinare diversi vantaggi. Ad iniziare dalla riduzione di abbandoni.
Se i dirigenti di tutti gli istituti scolastici fossero infatti obbligati a far frequentare gli alunni, come avviene oggi nella scuola media e fino al biennio iniziale della secondaria, non ci ritroveremmo con le massime autorità dello Stato in materia di Istruzione pubblica che ammettono l’esistenza di un “problema drammatico soprattutto nel Mezzogiorno”, perché più di uno studente su dieci lascia proprio in quella fascia di età.
Obbligando i nostri giovani a frequentare la scuola fino alla maggiore età, quindi, si sposterebbe più avanti questo momento di “crisi”. Quando però la maggior parte dei nostri giovani avrà almeno in tasca il diploma di maturità. Mentre oggi (dati Censis) il 26% degli studenti iscritti negli istituti superiori statali al termine dei cinque anni non arriva a conseguire il titolo. Con le scuole del Sud che, ancora una volta, si ergono a leader negative: nella provincia di Napoli, ad esempio, negli istituti tecnici la percentuali di studenti che risultano dispersi nel quinquennio supera il 45%.
L’obiettivo è quindi superare l’attuale legislazione sull’obbligo formativo, ridefinita dal decreto legislativo del 15 aprile 2005, n.76, art.1 e cioè come “diritto-dovere all’istruzione e alla formazione sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età”: a distanza di quasi 10 anni dalla sua approvazione, questo modello debole di frequenza ha infatti dimostrato tutta la sua inefficacia.
“Estendendo invece direttamente l’obbligo scolastico da 10 anni a 13 complessivi – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , si potrebbe agire su quel 36% di giovani che oggi decidono di non iscriversi ad un corso di laurea: più di 150mila ragazzi che ogni anno lo Stato dovrebbe preparare al meglio per il mondo del lavoro. C’è solo un modo per farlo: fargli frequentare, negli ultimi tre anni di scuola tra i 15 e i 18 anni di età, delle forme avanzate di alternanza scuola-lavoro. In tal modo, questi giovani si renderebbero più appetibili alle aziende,riducendo anche del 40% la possibilità che diventino disoccupati ed evitando che vadano ad ingrossare la già folta categoria dei Neet. E il Miur non ci venga a dire che si tratterebbe di un’operazione in controtendenza”.
In Europa l’obbligo formativo fino 18 anni è già previsto in diversi paesi: proprio per ridurre i tassi di abbandono precoce, oltre ad assicurare a tutti gli studenti un titolo di studio, in tredici paesi la durata dell’istruzione obbligatoria a tempo pieno è stata prolungata di uno o due anni, o perfino di tre come nel caso del Portogallo a seguito a recenti riforme. E anche l’inizio prima dei 6 anni è già ampiamente sperimentato con successo, visto che in dieci paesi l’istruzione obbligatoria è stata anticipata di un anno (o addirittura di due, come in Lettonia). E la partecipazione dei bambini di 3 anni all’istruzione pre-primaria è ormai quasi totale in Belgio, Danimarca, Spagna, Francia e Islanda. Con paesi, come l’Ungheria, dove il corso di studi totale dura anche 13 anni.
“Una volta formati i nostri giovani – continua Pacifico – non occorre però pensare che tutti i problemi siano risolti: occorrerà anche rivedere i centri dell’impiego. Creando delle strutture in grado finalmente di intercettare le richieste del mercato del lavoro e comunicare i dati direttamente ai centri di formazione. Solo rendendo comunicante il mondo della scuola e quello del lavoro si potrà infatti ridurre il fenomeno dei Neet e della disoccupazione”.
“Senza dimenticare che occorre il prima possibile attivare quei Centri di formazione per adulti che la legge vorrebbe già in funzione. Invece, proprio in questi giorni l’Anief ha denunciato che al contrario di quel che sostiene il regolamento nazionale, approvato oltre un anno fa, appena il 6,6% tra i 25 ed i 64 anni di età è oggi coinvolto nella formazione permanente. È una vera miseria: basta ricordare – conclude il sindacalista Anief-Confedir – che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi per adulti sono il 10,7%”.
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