C’è anche la scuola, nel capitolo su “istruzione e ricerca” con 19,2 miliardi a fronte di circa 200 complessivi, nel piano di suddivisione delle risorse del Recovery plan tra sei macro-aree esaminate dal Consiglio dei ministri lunedì 7 dicembre: rispetto al totale, oltre 10 miliardi saranno indirizzati sui progetti di Potenziamento della didattica e diritto allo studio.
I fondi per la scuola e la Conoscenza in generale non sono pochi, come più volte garantito dalla stessa ministra Lucia Azzolina: basta considerare che l’area sanità non andrà oltre i 9 miliardi, di cui 4,8 al cluster “Assistenza di prossimità e telemedicina” e 4,2 ai progetti per Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria.
Certo, ci sono ambiti che avranno molti più soldi: all’area “rivoluzione verde e transizione ecologica” andranno 74,3 miliardi, alla digitalizzazione e innovazione 48,7 miliardi, al settore infrastrutture per una mobilità sostenibile 27,7 miliardi, al pacchetto “Alta velocità di rete e comunicazione stradale 4.0” andranno 23,6 miliardi.
Ma sul rilancio della scuola il governo sembra contare molto. Di passaggio all’economia e della conoscenza”, ha parlato il premier Giuseppe Conte nella premessa della bozza. “Questo richiede prima di tutto e soprattutto competenze e quindi di concentrare gli sforzi sulla scuola, sugli studi superiori e professionalizzanti, sulla ricerca, sulla formazione”, ha detto il presidente del Consiglio.
La bozza del testo proposto è stata esaminata, il confronto tra le parti è serrato ma la quadra non sembra vicinissima.
Il CdM è iniziato all’ora di pranzo, ma è stato sospeso di lì a poco dopo che è giunta la notizia di positività al Covid 19 della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
Una riunione del premier Giuseppe Conte con i capi delegazione della maggioranza e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro si sta svolgendo nella serata dello stesso 7 dicembre.
Nel giorno dell’Immacolata è previsto un nuovo incontro del Governo, molto probabilmente in video-conferenza, dal quale si spera che possa derivare il via libera al Recovery Plan attraverso un decreto ad hoc.
Sull’approvazione del piano pesa la contrarietà della capo delegazione di Italian Viva Teresa Bellanova, la quale ha posto il suo veto su questa suddivisione – ha parlato di soluzione “inaccettabile” – perché andrebbe ad “esautorare” non solo i ministeri ma anche le Regioni e in sostanza l’intera Pa, proprio mentre “il Recovery deve rappresentare una straordinaria occasione di rinnovamento e innovazione della Pa”.
Ma in cosa consiste il piano? Le agenzie di stampa riferiscono che si tratta di 125 pagine suddivise in quattro capitoli: obiettivi, riforme, investimenti, attuazione, monitoraggio e valutazione dell’impatto economico del progetto.
Il fine del progetto governativo è arrivare ad “una transizione ‘green, smart and healthy’”.
Gli ambiti generali riguardano: riforma della giustizia; digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca, parità di genere, coesione sociale e territoriale; e salute.
Un capitolo a parte riguarda la riforma fiscale: l’intenzione è quella di “ridurre prioritariamente la pressione fiscale sui redditi medi” dopo essere intervenuti sui lavoratori con reddito fino a 40mila euro, si punta a fare la stessa cosa con i compensi “tra 40 e 60 mila euro, perché si tratta della fascia che oggi sconta livelli di prelievo eccessivi rispetto ai redditi ottenuti”.
L’obiettivo generale del piano è nobile: “Grazie agli effetti espansivi del Piano, a fine periodo di investimento (2026) il Pil risulterebbe più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario di base”.
“È evidente – si legge nel piano – quanto sia cruciale per le prospettive di espansione dell’economia e per la sostenibilità del debito pubblico selezionare progetti di investimenti pubblici ad alto impatto sulla crescita e accrescere l’efficienza delle Amministrazioni pubbliche preposte ad attuare tali progetti”.
E la scuola, da questo punto di vista, è certamente il più grande investimento pubblico che si possa realizzare per produrre cultura e, sul lungo periodo, anche ricchezza al Paese.
A come si ripartiranno i fondi europei del post-Covid sembrano particolarmente interessati i sindacati.
Per Maurizio Landini, segretario generale Cgil, è una situazione “straordinaria e irripetibile”: bisogna “fare scuole, ospedali, asili, mettere la banda larga in tutto il paese. Noi vogliamo discutere la strategia e dei risultati attesi. È il momento di fare sistema. È questo il momento in cui si decide. È importante avere adesso un coinvolgimento e ascoltare dei pareri”.
Ancora di più perché, ha concluso, “siamo stati coinvolti quando ci sono stati gli Stati Generali”, ma poi non abbiamo più avuto la possibilità di confrontarci”.
Per quanto riguarda la scuola, i fondi potrebbero servire a “riparare i danni prodotti dalla riforma Tremonti-Gelmini del 2008, che portò via alla scuola quasi 10 miliardi di euro cancellando 4 mila istituti, dirigenti scolastici e Dsga, 250 mila posti, tanto tempo scuola”, ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief.
Il sindacalista aveva detto al “premier Conte durante gli Stati Generali questa estate” che per la scuola sarebbero serviti “almeno 14 miliardi. Anche perché la spesa pubblica per l’istruzione in Italia si conferma tra le più basse nell’UE”. Si agisca “per mettere finalmente mano alle infrastrutture scolastiche, alla digitalizzazione, maggiorare gli organici, assumere tutti i precari, ridurre l’abbandono scolastico e il numero dei Neet”.
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