La produzione letteraria di Giovanni Verga è salva. Si è conclusa dopo ottant’anni col sequestro a Roma e Pavia di 36 manoscritti (romanzi e novelle), migliaia di stampe fotografiche di lettere, centinaia di lettere autografe, bozze, disegni e appunti di Giovanni Verga l’annosa vicenda iniziata con la consegna negli Anni ’30 da parte del figlio dello scrittore di manoscritti verghiani a uno studioso di Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Prezioso materiale mai più restituito. Sono stati i carabinieri del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale a sequestrare a Roma e Pavia l’ingente produzione letteraria, appartenente al Fondo Verghiano. Il valore dei beni recuperati, di elevato valore storico e culturale, ammonta a circa 4 milioni. L’indagine della Procura della Repubblica di Roma, iniziata nel 2012, è culminata nel sequestro che ha definitivamente concluso l’annosa vicenda. Vani si sono rivelati negli anni sia i tentativi di Giovanni Verga Patriarca (il figlio dello scrittore) di rientrare in possesso dei suoi beni, trattenuti dallo studioso che si opponeva strenuamente alla restituzione, sia le interrogazioni parlamentari succedutesi per 20 anni (dal 1957 al 1977) che avevano a oggetto l’esproprio per ragioni di pubblica utilità del materiale trattenuto dallo studioso, considerato di altissimo valore per il patrimonio culturale nazionale, sia delle varie Soprintendenze competenti. Nel 1975, dopo varie azioni legali, Pietro Verga (figlio di Giovanni Verga Patriarca) ottenne dal Tribunale di Catania una sentenza che gli attribuiva il possesso legale di tutti i manoscritti del nonno, sia quelli formalmente notificati sia la parte più consistente non potuta notificare a causa del rifiuto dello studioso, nel tempo, di consentire l’esatto inventario dei beni affidatigli per ragioni di studio. Nel 1978 Pietro Verga, ancora prima di entrarne in possesso, offrì in vendita al Comune di Catania l’intero corpo delle carte Verga, incluse le opere non ancora notificate. Il Comune investì della questione la Regione Sicilia, che accettò l’offerta di vendita di tutto il fondo ma di fatto entrò in possesso soltanto di una piccola parte pagando la somma di 89 milioni di lire. Da allora, il Comune di Catania e gli eredi Verga hanno cercato di ottenere la restituzione dei beni dalla figlia dello studioso (nel frattempo deceduto). La vicenda si è smossa quando la Soprintendenza ai Beni Librai della Regione Lombardia ha individuato un Fondo verghiano in vendita in una casa d’aste proprio dalla figlia dello studioso. Constatatone il pregio e la rarità, ha avviato il procedimento di dichiarazione di interesse culturale disponendo contemporaneamente, accertato il precario stato di conservazione delle carte, lo spostamento e il deposito temporaneo del Fondo Verga presso il Centro di ricerca del Fondo manoscritti dell’Università di Pavia (ove è tuttora è custodito). Le perquisizioni disposte dalla Procura di Roma si sono concluse col rinvenimento e sequestro sia di un ingente quantitativo di manoscritti e documenti dello scrittore sia di 16 oggetti archeologici integri, epoca V-II Sec. a.C., di buona fattura, fra cui skyphos, lekythos, kylix e oinochoe a figure rosse provenienti da scavo clandestino. L’erede dello studioso messinese, la 76enne romana A.P., è stata deferita in stato di libertà per i reati di ricettazione ed appropriazione indebita. (dal Tg1)
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