Immaginate di avere una figlia di 3 anni.
Immaginate di volerla o doverla, magari per ragioni di lavoro, iscrivere alla scuola materna.
E’ un vostro diritto, perché lo Stato ha l’obbligo costituzionale di darvi quella scuola: art. 33, comma 2: La Repubblica… istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi).
Malauguratamente scoprite che la scuola pubblica per voi non c’è, posti esauriti!
Qualcuno allora vi dice che potete iscriverla alla scuola privata parificata.
Immaginate di non avere i soldi per la retta di una scuola privata o semplicemente di non volere (o tutte due) iscriverla a una scuola “bianca”, “rossa” o di qualsiasi altra “tendenza”, ma di volerla iscrivere alla scuola pubblica, “arcobaleno”, affinché abbia a che fare con tutti i colori, affinché il suo colore lo scelga da sola quando potrà e vorrà. Se vi accadesse di trovarvi in questa situazione come vi sentireste?
Immaginate poi di scoprire, che le scuole private monocolore, al di là del dettato costituzionale, vengano finanziate con risorse comunali, con soldi di tutti, soldi pubblici, compresi i vostri, mentre a voi la scuola di tutti è ingiustamente negata (art.33, comma 3 –Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato)
A Bologna l’anno scorso 846 genitori (ma anche fossero stati solo due) hanno provato sulla loro pelle e su quella dei loro “B come bambini” la negazione di questo diritto.
A Bologna l’anno scorso 846 genitori (ma anche fossero stati solo due) hanno provato sulla loro pelle e su quella dei loro “B come bambini” la negazione di questo diritto.
A Bologna lo scorso anno 13.500 cittadini hanno immaginato di provare tutto questo, e hanno deciso che non era giusto; hanno pensato che ogni euro pubblico che c’é andrebbe speso per aprire nuove scuole pubbliche “arcobaleno”. Hanno pensato che la libertà di scelta delle famiglie vada garantita in primo luogo a chi chiede di essere accolto dall’unica scuola che non può mai mancare, la scuola pubblica. Hanno pensato che fosse giusto offrire ai loro concittadini e al loro Primo Cittadino un’ occasione per riflettere e per decidere quali siano le priorità e la strada maestra da intraprendere. Così è nato il referendum del 26 maggio.
I referendari non contestano le scuole private a cui riconoscono il sacrosanto diritto di esistere (ma“senza oneri per lo Stato”). Non contestano il Comune a cui riconoscono il merito di aver “inventato” e voluto fin dai primi anni sessanta, insieme al tempo pieno, vere e proprie scuole pubbliche dell’infanzia di qualità al posto dei pochi asili privati esistenti. “Scuole” e non più “asili”: non solo per favorire l’occupazione femminile, ma proprio per formare, in un’età delicatissima e di grande potenzialità, i giovanissimi futuri cittadini.
I referendari contestano chi oggi sembra avere smarrito la lezione, la lungimiranza e il coraggio di Giuseppe Dozza, Bruno Ciari, Ettore Tarozzi, Adriana Lodi. Contestano l’idea che i diritti siano riducibili a “questione contabile”, per cui se non c’è convenienza – più elegantemente “compatibilità economica” – li si può svendere o appaltare. Naturalmente lo si fa in maniera più o meno mascherata, teorizzando non solo la necessità, ma addirittura la “superiorità” del sistema integrato pubblico-privato. Con l’ovvia e prevedibile conseguenza di affidare ogni giorno di più le sorti della scuola pubblica alla sussidiarietà dei privati
I referendari contestano chi usa strumentalmente la legge di parità del 2000 – nonostante essa affermi, già nell’incipit, “fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione” – come grimaldello per aggirare la Legge delle leggi: la Costituzione.
Contestano chi pensa, e ha più volte sostenuto, che un referendum su questi temi sia sbagliato, inutile e controproducente. Come se ascoltare la voce dei cittadini fosse un delitto di lesa maestà.
A Bologna il 26 maggio non si gioca la cinica partita che in modo inaccettabile descrive il Sindaco nella sua lettera: tra chi é dalla parte dei bambini e chi non lo sarebbe, tra chi garantisce un posto a scuola ai bambini e chi li lascerebbe per strada, tra chi vuole un’educazione affettuosa e chi invece vorrebbe una società senza cuore, tra chi è dalla parte della “modernità” e chi, invece, sarebbe dalla parte della conservazione…
A Bologna il 26 maggio ci si confronterà tra chi “suggerisce” (il referendum è consultivo) una rinnovata attenzione e sensibilità nei confronti della scuola aperta a tutti, pensata in origine come bene comune del Paese e in tal modo disegnata dalla nostra Costituzione e chi sogna una scuola sempre più affidata ai privati, sempre più differenziata in relazione a convinzioni e disponibilità economiche individuali.
Se vincerà l’opzione A, ancora una volta dalla civilissima Bologna, giungerà una raccomandazione e un messaggio di speranza: è necessario tornare ad investire in tutta la scuola pubblica per dare un futuro ai nostri bimbi e con essi al nostro Paese.
Ecco perché il 26 maggio a Bologna riguarda tutti e tutta l’Italia.
Ecco perché siamo orgogliosi di avere raccolto le firme per indire questo referendum.
Ecco perché invitiamo tutti ad andare a votare il 26 maggio.
Ecco perché invitiamo a votare A come la prima lettera di ogni Alfabeto del mondo: mamme e papà, nonni e nonne, ragazze e ragazzi di Bologna scegliete voi il futuro della scuola, non lasciate che siano altri a farlo.
Isabella, mamma esclusa, presidente del Comitato referendario Art.33
Giovanni, maestro, professore, papà e cittadino