Molti mi stanno chiedendo, in questi giorni di euforia del referendum sull’autonomia, come si potrebbe applicare al mondo della scuola e dell’Università.
Allora mi viene spontaneo citare una frase di Eleanor Roosevelt, la quale nel 1958 scrisse: «Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli luoghi, vicini a casa […]: il quartiere in cui si vive; la scuola o il college che si frequenta; la fabbrica, il luogo di lavoro. Sono questi i luoghi dove ogni uomo, donna e bambino cercano un’equa giustizia, pari opportunità e dignità senza discriminazione. Se questi diritti non hanno significato in questi luoghi, hanno poco significato anche altrove».
Perché questa citazione?
Perché le scuole, per farmi capire bene, sono sì formalmente autonomie e responsabili, dal 2001, del “servizio pubblico scolastico”, ma, nella realtà, solo a parole. Perché sono considerate solo come emanazioni periferiche delle burocrazie ministeriali e regionali. Nulla più. Le quali si riproducono e proteggono, senza timori di spoil system. Pratica che dovrebbe essere ovvia e costante in una democrazia.
L’unica vera grande riforma della scuola, di cui nessuno parla? La cancellazione del ministero come gestore centrale ed unico del personale e delle risorse finanziarie.
Basterebbe, cioè, estendere anche al Veneto quanto già avviene nel vicino Trentino.
Al ministero spetterebbero solo le norme nazionali, con gli standard e le verifiche, ma la gestione solo agli enti locali, su base regionale, assieme alle “scuole autonome”, ripensate secondo il principio di diretta responsabilità.
Allora non ci sarebbero più le assurdità anche di questi giorni, con scuole ancora alla ricerca di docenti e personale. Con graduatorie che cambiano e continui ricorsi al TAR.
In poche parole, si tratta di applicare la logica sussidiaria, così bene espressa dalla signora Roosevelt, mentre oggi domina, in modo acritico, l’autoreferenza della burocrazia, la quale non ha il compito di affrontare e risolvere i problemi, ma di inseguire la presunzione che sia la realtà che debba conformarsi alle norme, e non viceversa.
La cultura amministrativa, cioè, è necessaria ma non sufficiente a garantire un governo equo ed efficace al mondo della scuola.
Del resto, quanti nelle varie burocrazie scolastiche hanno fatto diretta esperienza della vita delle scuole, oggi lasciate a se stesse, tra mille problemi e contraddizioni? Possono bastare le circolari a getto continuo, di fronte alle sempre nuove complessità?
Autonomia, dunque, come applicazione dell’etica delle responsabilità.
Non basta puntare alla sola efficienza, per avere poi un servizio efficace. E solo chi conosce dal di dentro le scuole può rispondere anche al vero valore della efficienza.
Perché si è arrivati a questo punto, cioè al dominio della burocrazia? Perché la politica, checchè se ne dica, conta sempre meno.
Che il voto sulla autonomia veneta faccia intendere che siamo ad un bivio che porrà limiti al primato della burocrazia rispetto alla competenza sul campo? E questo vale non solo per il Veneto, ma per tutte le regioni.
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