Con un nuovo interpello – il n. 32 del 9/8/2011 – il ministero del Lavoro e delle politiche Sociali ha risposto all’istanza presentata dall’ISTAT in merito alla corretta interpretazione della disciplina relativa al referente unico per l’assistenza alla persona in situazione di handicap grave, disciplinata dall’art. 33 della L. n. 104/1992, come da ultimo modificato dall’art. 24, comma 1 lett. a), della L. n. 183/2010.
In particolare, la richiesta riguardava la legittimità della concessione dei permessi in alternanza a più di un lavoratore per l’assistenza di un disabile, nell’ipotesi in cui il portatore di handicap stesso assuma il domicilio, per determinati periodi di tempo, presso la residenza di diversi parenti entro il secondo grado.
La legge – chiarisce il Ministero – individua un unico referente per ciascun disabile e, sebbene dalla riformulazione del dettato normativo non emerga più l’esplicito richiamo all’esclusività dell’assistenza, l’attuale disciplina sembra tuttavia tipizzare detto requisito laddove dispone espressamente che i permessi sono riconosciuti ad un unico avente diritto per assistere lo stesso disabile.
Nel caso di disabile che assume il domicilio anche solo per un determinato periodo di tempo, presso la residenza di diversi parenti entro il secondo grado, sarà dunque necessario che ciascun avente diritto presenti, di volta in volta, l’istanza per ottenere il riconoscimento dei permessi di cui all’art. 33, L. n. 104/1992 al fine di prestare legittimamente la dovuta assistenza. Ciò in quanto tali permessi possono essere riconosciuti esclusivamente ad un unico soggetto per ciascun disabile senza che sia possibile stabilire preventivamente che, rispetto ad un determinato arco temporale, siano più d’uno i soggetti che usufruiranno dei permessi in questione.
L’ISTAT, nello stesso interpello, ha anche chiesto chiarimenti circa l’ipotesi in cui l’accertamento provvisorio per la sussistenza della situazione di handicap sia seguito da un accertamento negativo da parte della commissione medica ex art. 4, L. n. 104/1992.
A tal fine, il Ministero ricorda che l’accertamento della situazione di handicap grave è effettuata da apposita commissione medica. Nell’ipotesi in cui quest’ultima “non si pronunci entro novanta giorni dalla presentazione della domanda, gli accertamenti sono effettuati, in via provvisoria, ai soli fini previsti dall’art. 33 della stessa legge, da un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l’unità sanitaria locale da cui è assistito l’interessato”. L’accertamento in questione ha, pertanto, carattere provvisorio, in quanto esplica i suoi effetti fino all’emissione dell’accertamento definitivo ad opera della commissione che deve, in ogni caso, pronunciarsi entro centottanta giorni dalla data di presentazione della domanda.
Se pur dopo i centottanta giorni previsti, la commissione non riconosce la sussistenza della situazione di handicap grave, l’INPS – chiarisce il Ministero – è legittimato a richiedere al dipendente la restituzione di quanto fruito a titolo di permesso, trattandosi di una prestazione non dovuta e, pertanto, indebita. Se dunque la pronuncia definitiva da parte della competente commissione non convalida lo stato di handicap in situazione di gravità, i permessi fruiti sulla base della certificazione provvisoria saranno considerati indebiti sin dal primo giorno della presentazione della domanda.
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