Mentre i sindacati oggi scendono in piazza anche contro il regionalismo differenziato di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, la scuola è diventata la madre di tutte le battaglie.
Sembrerebbe un iperbole, ma a quanto pare non è così, considerato che il Veneto, scrive Il Messaggero, “vorrebbe l’en plein. Spostare da Roma a Venezia il controllo di tutto il personale che lavora nell’istruzione, più di 70 mila persone presenti nella Regione”.
In altre parole, le Regioni, oltre ad arrogarsi il compito di poter firmare contratti integrativi regionali, pagherebbero pure gli stipendi ai prof cosicchè, solo per Lombardia e Veneto, “passerebbero di mano 8 miliardi di spesa pubblica: 2,7 per la Regione guidata da Luca Zaia e 5,3 miliardi per quella di Attilio Fontana”, e per ottenerli hanno bisogno di trasferire la spesa storica dallo Stato ai loro bilanci con l’obiettivo di pagare di più gli insegnanti locali.
I numeri del personale coinvolto è enorme: “solo in Lombardia sono oltre 130 mila i docenti, nel Veneto 65 mila: quasi 200 mila insegnanti pari ad un quarto del totale nazionale”.
A conti fatti, secondo Il Messaggero, visto che al Nord la vita costa molto di più, “stando al ragionamento del Carroccio, con un contratto integrativo regionale che vada ad appianare la differenza del costo della vita, vorrà dire che se lo stipendio medio mensile al netto delle trattenute di un insegnate della scuola media, dopo 10 anni di lavoro, è di 1470 euro, in Lombardia ad esempio si potrebbe arrivare a firmare un contratto integrativo regionale pari a 441 euro” in più.
Ma a questo punto alle Regioni “autonome” servirebbero più fondi per cui potrebbero aver bisogno di trattenere parte delle imposte altrimenti versate allo Stato.
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