Ben 30 costituzionalisti lanciano un appello al Capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato, dicendosi “fortemente preoccupati per le modalità di attuazione finora seguite nelle intese sul regionalismo differenziato e per il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali”. Il riferimento è alla volontà della Lega di far approvare il disegno di legge dal Governo, per poi portarlo al via libera delle Camere senza però alcuna possibilità di cambiarne il testo.
L’iter di approvazione, tuttavia, rimane fermo al confronto in Consiglio dei ministri dello scorso 14 febbraio, durante il quale il M5S ha posto più di una riserva.
Con la promessa di svolgere un summit, alla presenza del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Nella richiesta, formulata il 6 marzo, i costituzionalisti chiedono che sia garantito “il ruolo del Parlamento anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell’unità del Paese”.
L’ appello é stato firmato tra gli altri da tre presidenti emeriti della Consulta: Francesco Amirante, Giuseppe Tesauro e Francesco Paolo Casavola. Ed è stato predisposto dal professore Andrea Patroni Griffi, ordinario nell’Università della Campania Luigi Vanvitelli.
“Le ulteriori forme di autonomia non possono riguardare la mera volontà espressa in un accordo tra Governo e Regione interessata, avendo conseguenze sul piano della forma di Stato e dell’assetto complessivo del regionalismo italiano”, scrivono i 30 costituzionalisti, certi che “i parlamentari, come rappresentanti della Nazione, devono essere infatti chiamati a intervenire, qualora lo riterranno, anche con emendamenti sostanziali che possano incidere sulle intese, in modo da ritrovare un nuovo accordo, prima della definitiva votazione sulla legge”.
“Anche nell’approvazione dei primi Statuti del 1972 il Parlamento svolse un ruolo incisivo- ricordano -. La fisionomia delle regioni, infatti, riflette quella dell’intero Paese e non riguarda solo i singoli governi regionali”.
Per tali motivi, “l’approvazione parlamentare non può essere meramente formale; la previsione della legge nell’articolo 116, comma 3 della Costituzione è posta a garanzia che l’autonomia negoziata dalle regioni richiedenti si inserisca armonicamente nell’ordinamento complessivo della Repubblica. Il ruolo del Parlamento, nell’articolo 116, è finalizzato a tutelare le istanze unitarie a fronte di richieste autonomistiche avanzate dalle Regioni che possono andare proprio in danno a tali istanze unitarie”.
Nel frattempo, la ministra leghista Erika Stefani – che il 7 marzo sarà ascoltata dalla Commissione per le questioni regionali della Camera, mentre il presidente della Conferenza delle regioni Stefano Bonaccini sarà sentito dalla Commissione sul federalismo fiscale – ribadisce che l’autonomia “non è una secessione”, né è un intervento “per i ricchi”.
La Stefani ha aggiunto che “non vengono tolti fondi o risorse” alle altre regioni.
Dal M5S, tuttavia, continua l’opera di resistenza: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Stefano Buffagni (M5S) ha detto che “l’autonomia è nel contratto di governo e la si deve fare bene, ma sull’istruzione non si scherza”.
“Voglio evitare – ha sottolineato Buffagni – che i soldi degli italiani finiscano alle scuole private”.
Sul tema, domenica scorsa Roberto Fico (M5S), presidente della Camera, ha assicurato che “il ruolo del Parlamento sarà centrale” spiegando di aver già avviato un confronto con Casellati per scegliere insieme la strada migliore.
Strada che prevede innanzitutto, come ha spiegato la presidente del Senato, l’audizione di costituzionalisti “per avere pareri e osservazioni tecniche”.
Intanto, la Lega continua a difendere il progetto di legge: i testi elaborati in bozza “richiamano costantemente i principi fondamentali della Costituzione, di cui è garante il Giudice delle leggi”, ha detto il professor Mario Bertolissi, membro della delegazione trattante per l’autonomia differenziata della Regione del Veneto, commentando l’appello dei 30 costituzionalisti.
Secondo Bertolissi, i timori che hanno ad oggetto la centralità del Parlamento “sono smentiti dalle disamine dei costituzionalisti, i quali, da lungo tempo, vanno dicendo di una centralità del Governo, come è nei fatti”.
Per il costituzionalista veneto, “mina l’unità e indivisibilità della Repubblica il criterio della spesa storica, fonte di inefficienze, sperpero di pubblico denaro e di irresponsabilità, cui non si è mai voluto derogare”.
L’interesse nazionale è messo in pericolo, ancora, “da chi non è stato in grado di svolgere una attività di buon governo e di buona amministrazione”.
“Infine, mi pare che la volontà di forzare e far leva sul Presidente della Repubblica, che è autorevolissimo custode della Costituzione e che mai si è espresso sulla materia, appaia come un maldestro e miserevole tentativo. È un po’ come pensare di avere l’arbitro che gioca con la tua squadra. Speculare sulla correttezza del Capo dello Stato appare irrituale, soprattutto se a esprimersi sono autorevoli costituzionalisti. Forse pensano che al Quirinale abbiano momenti di distrazione”.
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