Il tema della regionalizzazione dell’istruzione è terreno di scontro tra istituzioni centrali e periferiche e il mondo della scuola.
Circa un anno fa si è tenuto il referendum consultivo con cui gli elettori del Veneto si sono detti favorevoli a negoziare con il Governo centrale particolari forme di autonomia su determinate materie, il Veneto si erge capofila di un movimento che in poche settimane ha visto altre realtà regionali unirsi alla “battaglia” (su tutte Lombardia ed Emilia-Romagna).
La Regione Veneto ha chiesto formalmente al Governo e al Parlamento di attuare il processo previsto dalla Costituzione per il riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle regioni statuto ordinario.
Il sito specializzato Roars pubblica le bozze di intesa tra enti locali e governo, in particolare quelle di Veneto [DOC], Lombardia [DOC] ed Emilia Romagna [DOC].
Le pre-intese tra Governo e le tre Regioni interessate erano state firmate il 28 febbraio del 2018 dal Sottosegretario Bressa del PD, per il Governo Gentiloni.
Per Veneto e Lombardia l’intesa è praticamente simile: i docenti rimangono dipendenti statali (con lo stesso contratto collettivo nazionale) e dovranno rispettare la disciplina regionale. Tutto sarà competenza regionale: finalità e programmazione dell’offerta formativa, anche in funzione del territorio, la valutazione, l’alternanza scuola-lavoro, i rapporti con le scuole paritarie.
Che cos’è l’autonomia differenziata? Una possibilità prevista dal comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione: le Regioni possono chiedere “ulteriori forme e condizioni di autonomia”, ma occorre una legge statale approvata a maggioranza assoluta. Le materie di competenza che verrebbero trasferite sarebbero: tre di esclusiva competenza statale (giustizia di pace, istruzione e ambiente) e venti tra cui l’istruzione è la più importante, alimentazione, ricerca scientifica, rapporti internazionali, sicurezza del lavoro, energia, salute.
I criteri economici che regolano il trasferimento delle competenze aggiuntive sono la compartecipazione al gettito di tributi erariali maturati nel territorio; la spesa sostenuta dallo Stato nella Regione per le funzioni trasferite; l’introduzione entro cinque anni dei “costi standard”.
Una delle vicende più spinose riguarda quella degli stipendi. Secondo le ultime indiscrezioni, le cifre che ballerebbero sarebbero attorno al 10-15%. Dunque per i prof sarebbero 150-200 euro in più.
Così come segnala La Repubblica, il modello a cui si ispirano Veneto e Lombardia è quello di Trento e Bolzano (dove si lavora di più rispetto agli standard nazionali, ndc).
Per arrivare a questo obiettivo – docenti meglio retribuiti in Lombardia e Veneto – si dovrà passare attraverso la creazione di altri quattro binari sui cui correranno i concorsi, le assunzioni, i precari ancora senza cattedra: la novità riguarderà sia i docenti di ruolo che quelli a tempo determinato.
L’autonomia differenziata creerà un percorso per gli assunti in ruolo a livello regionale, un altro per la prima fascia regionale, un altro ancora per la seconda regionale, uno infine per la terza regionale.
Per ottenere i fondi non si potrà che attingere alle risorse generali togliendo disponibilità e servizi alle altre regioni, a partire dalle scuole meridionali.
Solo Lombardia e Veneto hanno chiesto le graduatorie parallele su base volontaria: significa che entro un anno dall’approvazione della legge un docente, un preside, un amministrativo potranno chiedere di essere trasferiti alla nuova scuola regionale.
Attenzione, però: l’aumento di stipendio per chi sceglierà l’opzione “autonomia differenziata” sarà possibile solo sul contratto integrativo: gli accordi nazionali resteranno intoccati.
Pochi giorni, invece, Flc-Cgl, Cisl Scuola, Uil Scuola, hanno scritto al premier Conte e ai presidenti delle Commissioni Istruzione di Camera e Senato, per denunciare “le gravi conseguenze legate al conferimento di maggiori poteri alle Regioni in materia di istruzione, come prevedono le intese che il Governo è in procinto di sottoscrivere sulla concessione della cosiddetta “autonomia differenziata”.
Un percorso che i sindacati, rivolgendosi al Governo, alle Commissioni Istruzione di Camera e Senato e ai Presidenti delle due Camere, chiedono di bloccare, rivendicando come indispensabile l’avvio di un ampio confronto nelle aule Parlamentari e nel Paese.
Contrario anche anche Link, il Coordinamento universitario. Secondo il coordinatore, Alessio Bottalico, “tra le varie materie che diventano di competenza regionale vi è quella del diritto allo studio. Siamo però da anni in attesa che a livello nazionale sia approvata una legge sui Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Senza la definizione dei diritti minimi con i LEP su tutto il territorio nazionale, maggiore autonomia porterebbe al rischio di non riuscire a garantire le studentesse e gli studenti su tutto il territorio nazionale”.
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