Dopo il “volantone” che spiega i motivi di adesione alla manifestazione di sabato 9 febbraio contro il Governo e la Legge di Bilancio 2019, i sindacati confederali del comparto istruzione e ricerca sono passati alle “maniere forti”, decidendo di scrivere assieme alle massime cariche dello Stato e dell’Istruzione pubblica per dire no alla regionalizzazione del settore.
Nel documento – inviato al Governo, alle Commissioni Istruzione di Camera e Senato e ai Presidenti delle due Camere – le organizzazioni Flc CGIL, CISL FSUR, UIL Scuola RUA, illustrano quelle che definiscono delle gravi conseguenze legate al conferimento di maggiori poteri alle Regioni in materia di istruzione, come prevedono le intese che il Governo è in procinto di sottoscrivere sulla concessione della cosiddetta “autonomia differenziata”.
Per i sindacati maggiori, l’iter di approvazione, il cui prossimo passo si attuerà tra poco di una settimana con l’incontro CdM-Regioni, va fermato: perché si tratta “di un progetto di vera e propria devoluzione”, che mina “il carattere unitario e nazionale del sistema d’istruzione”, perché si darebbe “vita a progetti formativi regionali e localistici ben al di là di quella giusta attenzione alle specificità territoriali che, già a sistema vigente, sono assicurati dall’autonomia scolastica prevista dalla stessa Costituzione”.
Sarebbe opportuno, scrivono, all’avvio di un ampio confronto nelle aule Parlamentari e nel Paese: è un passaggio obbligato, se proprio si vogliono assumere decisioni così importanti per la vita delle persone e dell’intera comunità nazionale.
Anche la Gilda, qualche giorno addietro, aveva posto il suo veto contro la proposta.
Ora, c’è da capire se il Governo sarà sensibile all’appello. Sicuramente, in parte dipenderà anche dalla risposta alla manifestazione di sabato prossimo. Cui seguirà quella dell’Usb del 15 febbraio.
Ma soprattutto, sull’esito del disegno di legge che vuole introdurre l’autonomia scolastica, peraltro già a buon punto, peserà la posizione del M5S: il movimento, infatti, sinora ha avuto un atteggiamento alterno sulla proposta di stampo leghista (che ha visto mettersi in moto, a questo scopo, tutti i vertici del Carroccio) osteggiata dalla maggior parte dei lavoratori di comparto.
Perchè a dire no all’autonomia regionale è la stragrande maggioranza del personale scolastico: del Sud e delle Isole, ma anche una folta parte, sindacalizzata e non, che crede nel carattere unitario dell’istruzione pubblica.
Ecco perché andare avanti a tutti i costi potrebbe rappresentare uno “strappo” con il personale.
In pratica, il Governo gialloverde rischierebbe di ripercorrere le orme di quello Pd, che nel 2015 approvò la Buona Scuola a tutti i costi, contro tutto e tutti, salvo poi pagare a caro prezzo la sua ostinazione.
Come già scritto su questa testata, sino a due mesi fa la parola d’ordine di numerosi parlamentari del M5S era “la regionalizzazione non è nel contratto”, poi si è passati al “è nel contratto ma non riguarda la scuola”, fino ad arrivare, come ha dichiarato alla nostra testata Bianca Granato, al “se ne può parlare ma a saldi invariati”, cioè senza rivedere l’entità dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni.
Quindi è evidente che le Regioni del Sud, non in grado di sostenersi da sole, ovvero quasi tutti, ben presto cominceranno a battere cassa. E se lo Stato non dovesse subentrare, a rimetterci saranno gli istituti, i loro studenti e pure il personale.
Mentre i docenti delle regioni del Nord, a sentire perlomeno le premesse dei fautori della regionalizzazione dei servizi pubblici, potrebbero ritrovarsi pure con lo stipendio maggiorato.
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