L’unica “vera” riforma in cantiere, la sola che porterà conseguenze di lungo periodo negli assetti italiani, è però anche la meno criticata e studiata, al punto tale che non si conosce nemmeno il testo-base.Parliamo del cosiddetto Regionalismo Differenziato.
Secondo Linkiesta si tratta, “nella migliore delle ipotesi, di trasformarla in una sommatoria di potentati regionali e nella peggiore scardinando l’articolo 117 della Costituzione, quello che attribuisce la potestà legislativa allo Stato e lo obbliga a garantire gli stessi diritti civili e sociali a ogni cittadino su tutto il territorio della Repubblica”.
Non si tratta dunque di una piccola questione amministrativa che riguarda solo alcuni territori, ma di una svolta politica di prima grandezza che tocca l’intero Paese e deciderà il suo futuro. Se ne sa pochissimo. I testi su cui si sta contrattando riguardano le tre regioni che ne hanno fatto richiesta – Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – ma un dibattito pubblico sul tema è impossibile perché sono praticamente secretati.
Ciò che trapela, è la seguente “favola: la scuola, i beni culturali, la sanità, persino le politiche energetiche o la politica estera, gestite dalle Regioni sarebbero migliori e più efficienti di quelle governate dallo Stato centrale”.
Invece la sostanza sono le “risorse pubbliche disponibili per la formazione dei nostri figli, per le prestazioni sanitarie, per la protezione civile in caso di eventi catastrofici, per l’ambiente, per il rischio sismico, per gli infortuni sul lavoro.
È ovvio infatti che permettere alle tre regioni del Nord di trattenere una quota maggiore dell’Irpef e di altri tributi erariali generati sul territorio significa sottrarli al resto degli italiani. Tuttavia, il tema che dovrebbe allarmare di più non è economico ma riguarda la potenziale disgregazione dei fattori generativi dell’unità nazionale, a cominciare dalla scuola pubblica e dalla tutela dei beni paesaggistici e culturali che costruiscono la nostra identità comune: venti sistemi di istruzione diversi, venti diverse sensibilità e direttive sul patrimonio immateriale della Repubblica, significano un’Italia kaput”.
Per passare infatti a un piano più concreto, precisa invece Il Sole 24 Ore, bisogna prima decidere il destino della scuola, che da sola assorbe l’ampia maggioranza delle risorse legate alle competenze in discussione. Lombardia e Veneto chiedono di regionalizzare l’istruzione, prevedendo ruoli regionali per gli insegnanti (opzionali, gli interessati potrebbero chiedere di rimanere negli elenchi nazionali), ma sul punto il «no» Cinque Stelle è netto.
«La scuola regionale si farà», ha rilanciato in un’intervista domenicale al Corriere del Veneto il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, leghista. Ma lo stesso ministero ha firmato ad aprile con i sindacati un’intesa che chiede di rafforzare il ruolo nazionale della scuola. Difficile che Salvini voglia fare le barricate su un tema come questo, che peraltro complicherebbe parecchio la vita delle Regioni. Ma bisogna trovare il modo di uscirne”.
E bisogna anche affrontare la questione della mobilità che negli ultimi anni ha visto uscire da Lombardia e Veneto quasi un quarto degli insegnanti che in Italia hanno cambiato regione (Sole 24 Ore). In arrivo invece ci sarebbe la piena regionalizzazione dei concorsi in sanità.
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