I lettori ci scrivono

Regionalizzazione, non solo contestazione, ma anche proposte

Si è dimostrato con la Sanità che anche qualora lo stato mantenesse l’autorità di stabilire i Livelli Essenziali minimi, il processo di controllo, sanzione e sussidiarietà, è risultato pressoché inapplicabile e inapplicato.

I cittadini sono tutti uguali, i bambini devono essere tutti eguali di fronte ai diritti costituzionali, primo fra tutti l’istruzione.

Per tutelare il valore di eguaglianza naturale dei cittadini, la costituzione istituisce il sistema statale pubblico dell’obbligo scolastico con cui si garantisce a tutti la qualità del livello d’istruzione ed educazione sui comuni valori etici e sociali di solidarietà e cooperazione anche per superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione. L’autonomia differenziata risulterebbe lesiva di principio sancito storicamente sin dalla proclamazione della Repubblica.

Infatti una qualsiasi modalità di differenziazione della tipologia e qualità della scuola dell’obbligo per territori porterebbe, ancorché fossero garantiti i livelli minimi (condizione per esperienza irrealizzabile), ad una sperequazione sul livello di istruzione sostenuto con la spesa pubblica e quindi ad un’effettiva scuola di serie A per le regioni più ricche ed una di serie B per le regioni meno ricche e la possibilità di discriminazioni negli stessi territori, come già avviene, sulla base di una discrezionalità nel distribuire le risorse e le opportunità.

Va evidenziato che questa differenziazione sulla qualità della scuola pubblica su base regionale ingigantirebbe gli ostacoli per le fasce meno abbienti della cittadinanza impedendone il pieno sviluppo della persona umana e ” limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini ” (art. 3 della Costituzione) .

La protezione della scuola repubblicana è la difesa della scuola statale, attaccata da diversi decenni attraverso tagli economici. Siamo infatti il terzultimo paese per spesa pro capite per l’istruzione pubblica e l’ultimo per la quota di questa spesa sul totale della spesa pubblica. Questa aggressione viene portata avanti anche con l’incremento continuo della burocratizzazione: dal Dirigente scolastico all’ultimo applicato di segreteria, devono compilare moduli per le più banali e ripetitive attività. Possiamo capire cosa significa la  regionalizzazione: permettere alle Regioni più forti di migliorare le proprie scuole a danno delle Regioni più povere.

Si tratta di autorizzare regioni con il 40% del PIL italiano a trattenere un’alta percentuale dei tributi pagati dai cittadini, senza contare che ci possono essere differenze di luogo tra la produzione e la riscossione qualora le aziende del nord hanno i loro stabilimenti al sud.

Esempi degli effetti LETALI della regionalizzazione lo abbiamo già nella formazione professionale che da anni, con la riforma del titolo V° della Costituzione, è stata totalmente attribuita alle regioni (legge 53/03) che in merito hanno ottenuto pieno potere legislativo. Vediamo come risultato una totale difformità di qualità formativa ed un dissolvimento degli enti pubblici in favore dei vari enti privati convenzionati (ovvero finanziati con soldi pubblici) perlopiù afferenti agli ordini religiosi o legate in qualche modo alle tre principali sigle sindacali nazionali. Constatiamo che di fatto tali enti privati sono arrivati a condizionare la legislazione regionale a loro favore, degli enti non certo degli studenti. Esempio ne è stata la legge sul “sistema educativo regionale di istruzione e formazione professionale” del Lazio, ovvero la LR 5/15 della giunta Zingaretti che era partita addirittura come “la legge della suora”, e che solo grazie all’opposizione M5S, è stata riequilibrata a vantaggio dei cittadini e non degli enti privati, nel caso religiosi.

Bisogna allora stare molto attenti e mettere bene a fuoco gli effetti della Regionalizzazione sul settore scolastico formativo, non si tratta solo dei programmi scolastici; si tratta dell’assunzione del personale scolastico con concorsi regionali per dirigenti, docenti e non docenti e della messa in ruolo nella Regione; si tratta che le Regioni potranno decidere chi va dove e di quanto personale potrà disporre una scuola.
Non esiste alcuna motivazione organizzativa alla dimensione regionale del sistema scolastico. L’unico effetto sarebbe di permettere alla politica regionale di influenzare assunzioni e concorsi dirigenziali del sistema scolastico, come successo in ambito sanitario, rendendo la scuola uno strumento di scambio elettorale.

Questi effetti di malamministrazione specifici delle Regioni porteranno anche per la scuola come per la sanità ad incrementare il divario della qualità della scuola tra NORD e SUD. Se vediamo il divario è già presente tra nord e sud sia nel maggiore abbandono scolastico sia nel livello di efficacia formativa come risulta dai dati INVALSI. Con la regionalizzazione, che porta maggiori risorse alle Regioni più ricche del NORD, si avrà un incremento di tale divario a danno dei bambini e giovani italiani residenti al sud. Altro esempio di analogia con la sanità della differenza nord sud causata dalla regionalizzazione sta nella qualità degli edifici, nella popolazione degli alunni per classe, basta vedere un ospedale in Lombardia ed uno in Calabria, e scoprire che la differenza non viene dalla geografia, ma dalle superiori risorse assegnate alla Lombardia rispetto la Calabria rispetto a parita di posti letto.

Si tratterà anche di favorire enti privati ponendoli a carico della spesa pubblica, come avviene già per la formazione professionale e in misura maggiore per la sanità, dove alla inefficienza delle strutture pubbliche le Regioni fanno fronte con convenzioni con enti privati.

La già disattesa regola costituzionale delle scuole private senza oneri per lo stato, sarà ancora più disattesa. Quindi non solo scuole pubbliche di serie A e di serie B, ma anche il proliferare di scuole private convenzionate (pagate) con le Regioni.

E’ inoltre da considerare che la separa zione di competenze al momento centralizzate non può che incrementare il costo complessivo di gestione del sistema scolastico a causa delle numerose duplicazioni di funzioni al momento centralizzate a livello nazionale.

Non si tratta solo di contestare con un chiaro e semplice NO alla scuola regionalizzata, si tratta di prendere coscienza e portare avanti proposte capaci di interrompere ogni tentativo di disgregazione della Istruzione Pubblica Statale della Repubblica, cominciata con la Riforma Berlinguer e consolidata con la Legge 62 di Fioroni.

Proponiamo e pretendiamo una inversione di rotta:
● più risorse per la scuola: raggiungere il 6% del PIL a partire dalla prossima finanziaria,
● messa in sicurezza degli edifici,
● riduzione degli alunni per classe,
● adeguamento degli stipendi alla media europea per il personale scolastico (dirigenti, docenti, non docenti),
● assunzione in ruolo solo per concorso statale con obbligo di conoscenza lingua e cultura italiana,
● privilegiare la formazione curriculare sulla progettazione,
● scuola-lavoro, fuori dall’orario scolastico e solo con retribuzione al discente,
● controllo della qualità del servizio solo attraverso l’ispettorato ministeriale statale,
● estensione dell’obbligo di scolastico da 16 a 18 anni,
● incremento dei nidi e scuole materne gratuiti,
● stabilità pluriennale nell’organizzazione formativa e discipline di esami,
● mantenimento del valore legale del titolo di studio,
● formazione dei docenti di qualità solo presso le università statali, con programmi standard certificati e con esame di abilitazione professionale
● ultimo ma non meno importante, riportare le competenze della formazione professionale, allo stato.

Riccardina Sgaramella

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