Il tema della regionalizzazione dell’istruzione è terreno di scontro tra istituzioni centrali e periferiche e il mondo della scuola.
L’autonomia differenziata è una possibilità prevista dal comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione: le Regioni possono chiedere “ulteriori forme e condizioni di autonomia”, ma occorre una legge statale approvata a maggioranza assoluta.
Le materie di competenza che verrebbero trasferite sarebbero: tre di esclusiva competenza statale (giustizia di pace, istruzione e ambiente) e venti tra cui l’istruzione è la più importante, alimentazione, ricerca scientifica, rapporti internazionali, sicurezza del lavoro, energia, salute.
I criteri economici che regolano il trasferimento delle competenze aggiuntive sono la compartecipazione al gettito di tributi erariali maturati nel territorio; la spesa sostenuta dallo Stato nella Regione per le funzioni trasferite; l’introduzione entro cinque anni dei “costi standard”.
Il passaggio in Consiglio dei Ministri (probabilmente già oggi) segue la lunga trattativa iniziata dopo l’insediamento del governo e naturale sviluppo del percorso avviato con i referendum di Lombardia e Veneto nell’ottobre del 2017 e del
dialogo con il governo precedente.
La situazione è anche terreno di scontro all’interno del governo. Il Movimento Cinque Stelle teme uno spostamento di risorse pubbliche dal Sud al Nord, la Lega sostiene che l’autonomia renderà più efficiente la gestione.
Per ogni competenza ‘conquistata’, la Regione potrà quindi chiedere allo Stato un “trasferimento di risorse” per sostenere, in base al calcolo del “costo storico”,
le spese relative alla copertura di quel servizio.
Oltre alle Regioni a guida leghista, il Veneto di Luca Zaia e la Lombardia di
Attilio Fontana, l’intesa riguarda anche l’Emilia Romagna, che non ha svolto il referendum
consultivo, ma avviato il percorso in Consiglio regionale.
Le altre Regioni che hanno presentato una domanda o manifestato interesse a seguire l’esempio delle capofila sono Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Marche.
Il sito specializzato Roars pubblica le bozze di intesa tra enti locali e governo, in particolare quelle di Veneto [DOC], Lombardia [DOC] ed Emilia Romagna [DOC].
La regionalizzazione dell’istruzione rientra in uno dei punti del contratto di governo Lega-M5S, precisamente il punto 20.
Il processo di regionalizzazione è così affrontato:
“Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte…”
Così come prevede l’articolo 116 della Costituzione, quindi, la regionalizzazione sarebbe il passaggio delle competenze dell’istruzione alle singole regioni che ne faranno, in maniera motivata, richiesta.
A livello pratico cosa comporterebbe?
Per Veneto e Lombardia, i docenti rimangono dipendenti statali (con lo stesso contratto collettivo nazionale) e dovranno rispettare la disciplina regionale. Tutto sarà competenza regionale: finalità e programmazione dell’offerta formativa, anche in funzione del territorio, la valutazione, l’alternanza scuola-lavoro, i rapporti con le scuole paritarie.
La Regione sarà investita anche del potere di coordinare i possibili trasferimenti di chi verrà lì assunto in altre regioni; il meccanismo sarà simile a quello del trasferimento interno alla Pubblica Amministrazione, con finestre limitate
Non solo: Lombardia e Veneto sono interessate agli sbocchi lavorativi dell’istruzione
italiana e vogliono la programmazione professionale, il rapporto con le imprese,
l’organizzazione dell’istruzione per gli adulti e degli Istituti tecnici superiori (Its) che già garantiscono occupazione.
Inoltre, Lombardia e Veneto assicurano, in proprio, la nascita di fondi pluriennali per il diritto allo studio (tramite borse di studio) e le residenze universitarie.
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