Palazzo Chigi, sede del Governo
Salta il previsto confronto tra Consiglio dei ministri e governatori sull’autonomia regionale, partire da quella scolastica e sulla sanità: nella stessa giornata in cui il sito internet “Roars” ha pubblicato le bozze di intesa tra enti locali e governo, in particolare quelle di Veneto [DOC], Lombardia [DOC] ed Emilia Romagna [DOC], più fonti dell’esecutivo in carica hanno fatto sapere che le intese delle Regioni sull’autonomia non risultano all’ordine del giorno dell’imminente CdM.
La riunione del Consiglio dei ministri, inizialmente prevista per venerdì 15 febbraio, si svolgerà il giorno prima, il 14, alle ore 19.
Al momento, all’ordine del giorno del pre-consiglio, in programma mercoledì 13, vi sono solo una serie di ratifiche di accordi internazionali e provvedimenti di attuazione di direttive europee su diversi temi: dalla interoperabilità del sistema ferroviario, alla sicurezza delle ferrovie, da norme su brevetti e marchi di impresa, alla sperimentazione clinica dei medicinali ad uso umano.
Ma a cosa è dovuto lo slittamento del confronto CdM-governatori? Sembra che il dossier sulla regionalizzazione presenti ancora diversi “nodi ancora aperti”. Per questo motivo, il testo su cui confrontarsi è stato rinviato di almeno una settimana.
Tra i motivi del rinvio, sembra che via siano dei dubbi che all’ultimo momento il M5S avrebbe posto sulla riduzione di poteri, di azione e di gestione economica dei ministeri: tutte idee di matrice leghista.
I grillini avrebbero compreso, anche alla luce dell’ondata di indignazione per la sferzata del ministro dell’Istruzione verso le scuole del Sud, che un’eventuale via libera del primo partito di Governo, andrebbe spiegato per bene a quella parte di elettorato, ad iniziare da quello scolastico, che ad oggi intende in modo tutt’altro che positivo il passaggio di così tanti poteri alle regioni.
Va ricordato che anche il personale, compreso quello scolastico, verrebbe assorbito man mano dalle regioni: si partirebbe, in automatico, dai neo-assunti, mentre chi è di ruolo avrà la possibilità di decidere.
Solo che per i docenti, Ata e presidi delle regioni più ricche (a cui andranno pure le maggiori risorse), si tratterà di un’occasione ghiotta per vedersi incrementare lo stipendio; mentre per i dipendenti del Sud, il passaggio al nuovo sistema non dovrebbe portare molti vantaggi.
Anzi, a lungo andare, considerando che il gettito alla loro regione è destinato ad assottigliarsi pesantemente, potrebbero ritrovarsi ad insegnare in scuole sempre meno sostenute dallo stato sociale.
Con il Miur che, svuotato di poteri, non avrebbe nemmeno più la possibilità di intervenire.
‘Il rinvio – ha fatto sapere la Flc-Cgil – è una buona notizia solo se prelude ad un definitivo abbandono di un processo che, per quanto riguarda la scuola e l’istruzione, configura un regionalismo secessionista e disgregatore che rigettiamo nettamente’.
‘E’ falso – sostiene il sindacato Confederale – che un contratto regionale può migliorare la qualità dell’istruzione. E’ falso che stipendi diversi fra regione e regione incentiveranno il personale. E’ falso che concorsi regionali favoriscono la stabilità. E’ falso che sarà rispettata l’autonomia delle istituzioni scolastiche’.
‘E’ vero invece, continua la nota, che il diritto all’istruzione non sarà più un diritto universale, che si bloccheranno la mobilità professionale e lo scambio culturale, che l’autonomia scolastica sarà violata da controlli regionali in netto contrasto con la previsione costituzionale”, concludono i lavoratori della Conoscenza della Cgil.
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