Preoccupa non poco i sindacati il primo esame svolto il 21 dicembre in Consiglio dei ministri sulla regionalizzazione della scuola: ai rappresentanti dei lavoratori non va già che, al pari di altre competenze in seno ai ministeri centrali, diverse prerogative oggi centralizzate e nazionali dell’istruzione possano essere in futuro demandate ad una gestione locale. Contro questa possibilità, per la cui approvazione ci sarebbe anche già un accordo di fondo tra Lega e M5S, si è prima scagliato Pino Turi, leader della Uil Scuola, che ha minacciato di arrivare allo sciopero; lo ha seguito Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl Scuola, la quale ha chiesto al Governo di stoppare l’iter di approvazione del disegno di legge e avviare un confronto.
Secondo la sindacalista confederale “anziché accelerare i tempi su una questione che si fa molta fatica a considerare una priorità, sarebbe quanto mai auspicabile una pausa di riflessione, creando sedi e occasioni di confronto per una approfondita discussione di merito. Diversamente, vivremo la consueta disfida a colpi di spot, dominata da logiche di schieramento o viziata da ideologismi pregiudiziali, come troppo spesso è accaduto e accade”.
Occorre, quindi, “un livello adeguato di coinvolgimento e di confronto, in primo luogo dei soggetti più direttamente protagonisti della sua quotidiana gestione, come le istituzioni scolastiche e il loro personale”.
“Il sistema di istruzione – ha continuato la Gissi – è merce preziosa, da maneggiare con cura, in gioco ci sono diritti fondamentali che vanno assicurati in ugual misura su tutto il territorio nazionale: se manca questa garanzia, un decentramento di poteri a vantaggio delle Regioni potrebbe accentuare, anziché ridurli, gli squilibri oggi riscontrabili fra aree territoriali”.
La sindacalista dice che chi segue la scuola “con un po’ di sana memoria” ricorderà “per esempio che in materia di reclutamento del personale scolastico si è già pronunciata pochi anni fa la Corte Costituzionale, bocciando le disposizioni emanate in materia dalla Regione Lombardia nel 2012”.
Il riferimento è al no della Consulta alla chiamata diretta. L’impressione, continua, è “di trovarsi di fronte all’ennesimo ‘provvedimento bandiera’, di cui si fa fatica a cogliere la necessità e l’urgenza, mentre si vedono benissimo i pericoli”.
“Uno riguarda la possibile incidenza che l’attuazione di modelli di ‘autonomia differenziata’ potrebbe avere sulle prerogative di un altro livello di autonomia costituzionalmente garantito, quello delle singole istituzioni scolastiche. Non in astratto, ma nella concreta esperienza vissuta in realtà che da tempo vedono assegnate al potere locale rilevanti competenze in materia di istruzione, emerge la tendenza delle sedi di decisione politica, per la particolare prossimità che viene a determinarsi fra queste e la rete delle scuole, a esercitare un forte protagonismo nelle scelte riguardanti l’indirizzo e la programmazione dell’offerta formativa”.
“Da qui – ha concluso la sindacalista Cisl – il paradosso di un centralismo statale cui verrebbero a sostituirsi tanti ‘centralismi decentrati’ tendenzialmente più opprimenti e invasivi per l’autonomia scolastica”.
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