Un mostro si aggira per il Veneto, è la propaganda leghista per un’autonomia da Roma.
A seguirla dapprima sono stati alcuni artigiani tartassati, qualche industriale di provincia e non pochi frequentatori abituali di osterie insieme ad una significante minoranza di docenti ed Ata, veneti doc e soprattutto dop, che si vedevano scavalcati dai meridionali nelle graduatorie di trasferimento e d’assegnazione cattedre. Bene è ribadire che al Nordest ci si muove, si produce e si negozia, con Roma, equilibri più avanzati per non essere frenati da regioni meno dinamiche e più assistite.
In Veneto, più di altrove nel nord padano, però la Lega non ha più, come li aveva la DC dorotea, i patronati cattolici solidali. Questi, pare, che li avrebbe contro da come si esprime pubblicamente il vicentino Segretario di Stato Vaticano, che per l’autonomia scolastica frena o almeno non preme sull’acceleratore.
Tra l’altro, e secondo non pochi spesso con la spocchia del primo della classe, il governatore del Veneto, L. Zaia, afferma: «Il nostro non è messaggio di ostilità e di battaglia, ma la volontà di fare e di mantenere la parola data e 2 milioni e 328 mila persone che sono andate a votare. Non ci siamo riusciti con il Governo Renzi e con il Conte 1, vediamo se ce la faremo con il Conte bis.
Altrimenti prima o poi arriverà qualcuno». E. Berti, consigliere regionale pentastellato, rimprovera Zaia di fare solo propaganda e di monopolizzare il problema dell’autonomia che non è solo una richiesta leghista. In Veneto l’autonomia differenziata, anche per l’istruzione, deve significare una maggiore centralità del cittadino e una res publica che lo veda cittadino e non lo umili come un suddito non più dello Stato ma della Regione Veneto.
Il Veneto, già dal consenso alla DC dorotea (più del 52% circa 10 punti in più della Lega), era all’avanguardia per la sanità, l’economia e i servizi. Dunque non è stato Zaia, e i suoi leghisti, a raggiungere i citati primati. Invece parla per mera propaganda come un suo merito quasi come le camice nere che, in guerra, ponevano la bandiera della vittoria dopo che le truppe regolari avevano conquistato la vetta. Forse Zaia, sa più di altri animali politici, di parlare al popolo bue, sempre pronto ad ascoltare chi alza la voce e lo vede spesso illuminato dai riflettori dei mass media. Per la scuola il cittadino veneto vuole una riforma reale e non surrogata del sistema d’istruzione-formazione. Vuole più libertà di scelta del docente, della scuola e del suo personale Ata (Assistenti, tecnici ed amministrativi).
Regionalizzare la scuola del Veneto, nel modo richiesto e pensato dalla Lega non è affatto innovativo.
Prevede un populista aumento degli stipendio dei docenti e degli Ata, quasi 70mila in Veneto su 600mila studenti, e non, invece, una riforma scolastica con crescita delle responsabilità connessa all’aumento dei compensi, solo se meritati. Solo ai presidi, e non anche ai docenti, verrebbe concessa la doppia scelta di restare statale oppure optare di essere regionalizzato. Non è positivo regionalizzare dirigenti ed uffici scolastici provinciali e regionale poiché si perderebbe la distanza necessaria dall’invadenza partitocratica che potrebbe condizionarne la scelta con il sottobosco politico gravido di favoritismi come altrove.
A tutti gli Ata va prospettato il contratto privatistico e non quello di dipendenti regionali più pagati di ora.
Ai 5 milioni di residenti in Veneto, c’era, fino a 5 anni fa circa, il primato nazionale, con oltre il 16%, di scuole non statali. Da ciò potrebbe iniziare una regionalizzazione non formale, ma sostanziale con aumentare la presenza di scuole libere. Bisogna studiare bene il da farsi e soddisfare elementari diritti dell’utenza scolastica ed universitaria: scelta anche della scuola libera, del docente della classe, del dirigente di provenienza non più solo statale, ecc. Invece il Veneto va a Roma, con i suoi politici leghisti, carichi di belle speranze di autonomia subito, e tornano delusi dando la colpa ai meridionali Grillini e Pd.
La colpa è anche dell’approssimazione veneta, almeno per la scuola. Tra Nord e Sud, ancora una volta, il dialogo non è sulla medesima lunghezza d’onda, ma ciò non è una novità e non solo dall’unità nazionale.
L’Autonomia deve significare anche Dirigenti scolastici con ore da insegnare come avviene all’estero e non solo passacarte come sono attualmente. Nella scuola non di stato il rapporto docente e dirigente con l’utenza è diverso, meno burocratizzato e più diretto con il discente e genitori.
Il Rapporto sulle rilevazioni nazionali 2018 presentato dall’Invalsi dà una mole di dati prodotti da 1 milione e 100mila studenti italiani della seconda e quinta elementare, 570 mila studenti della terza media e circa 550 mila studenti del secondo anno di licei e istituti tecnici e professionali. La differenza dei risultati tra le scuole e tra le classi nel Sud del Paese è molto più accentuata che al Centro-nord.
Osservato il panorama culturale dei rappresentanti politici attuali, per la scuola, si assisterà all’ennesima riforma mancata o miniriforma peggiorativa, purtroppo poiché tutto resta contro l’utenza che non può scegliere il docente, il dirigente né la scuola non statale dove il cittadino viene ancora visto come suddito, di sua maestà la burocrazia.
Un esempio eclatante è il netto divieto d’uscita ad un 18enne con febbre, in una scuola padovana. Autonomia, Zaia al ministro Boccia: «Come fa a chiamarla propaganda?» afferma Rotta. «L’autonomia in questo senso non può essere utilizzata come un elefante per nascondere i fallimenti di 25 anni di governo del centrodestra e della Lega.
Serve di sicuro, ma non basterà a fermare l’esodo di giovani, di medici e di imprese che scelgono di trasferirsi in zone d’Italia e città europee più dinamiche e aperte, maggiormente in grado di valorizzare i talenti, meglio infrastrutturate del nostro Veneto.
Per quello serve una politica capace di trovare mediazioni e soluzioni oltre che di sbandierare slogan e creare contrapposizioni tra le diverse aree del Paese».
Restano tuttavia, dice Rotta del Pd, «perplessità da un alto per come è stata gestita la partita finora dal Veneto, prima con gli slogan sui nove decimi e sul residuo fiscale e poi con la presentazione di uno schema di autonomia che non prevedeva il mantenimento sul territorio del prelievo fiscale, per lo meno non nelle misure propagandate in precedenza, ma con la richiesta di gestire tutte e 23 le materie elencate nella Costituzione. Come ampiamente prevedibile, nonostante il governo ‘amico’, non se ne è fatto nulla».
Ma i meno distratti dei residenti veneti, oltre il 50% sa che Salvini pensiero era in propaganda al Sud, dove fino a ieri aveva visto solo terroni con tutti gli altri epiteti ed aggettivi negativi utilizzati ad iosa per crescere di consenso nelle famose ”osterie padane”!
La Lega è nata e cresciuta sul ribellismo fiscale e sulla scarsa propensione a riconoscere un Stato superpartes. Sul sistema di tassazione elevato in Italia e Veneto il nostro piccolo partito è concorde che bisogna abbassare le tasse anche dei pensionati sui quali gli ultimi governi hanno fatto cassa bloccandone anche gli scarsi aumenti Istat. Alle tasse statali ci pensa anche la Regione ed il Comune a rincarare la dose e i pensionati soffrono di rappresentanza anche perché tutte le centrali sindacali ne abbondano.
Dopo una vita di lavoro e di tassazione, soprattutto i 21 milioni di lavoratori dipendenti, non trovano giusta una scure fiscale statele,regionale e comunale così elevata, caso unico in Europa. Per la scuola gli anziani conoscono il valore dell’istruzione e formazione più dei singoli partiti che gareggiano per lo stato quo ad eccezione della Lega che vuole regionalizzare, ma in modo peggiorativo rispetto allo Stato che,in ogni caso, assicura più imparzialità e trasparenza.
Giuseppe Pace
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