Fare il prof a Milano non è la stessa cosa di farlo a Catania: questa è una delle motivazioni che sta spingendo il M5S ad appoggiare la regionalizzazione della scuola nel più ampio progetto dell’autonomia differenziata.
Regionalizzare l’istruzione, ovvero dare maggiori poteri di autonomina in materia di istruzione alle Regioni, significa anche consentire alle singole Regioni di attuare contratti di lavoro regionali e stipendi per i docenti e il personale scolastico differenziati da Regione a Regione.
Attraverso il federalismo fiscale e il trattenere il gettito fiscale a livello regionale, si punta a migliorare l’efficienza dei servizi e delle prestazioni lavorative in quelle regioni più ricche e produttive, mettendo in forte difficoltà le Regioni più povere e più arretrate.
In buona sostanza i prof. “terroni”, o meglio i docenti che svolgono la loro professione nelle scuole del sud, rischieranno contratti e stipendi differenziati. Anche la legislazione scolastica potrebbe avere una connotazione regionale sul modello di quanto avviene già nelle province autonome di Trento e Bolzano.
Il rischio che l’organico dell’autonomia, che fino adesso è stato sempre lavorato a livello centrale dal MEF, possa passare alla competenza delle Regioni è una delle preoccupazioni maggiori degli effetti prodotti dall’autonomia differenziata. Una regione come il Veneto, trattenendo per sé il 90% del proprio gettito fiscale, potrà disporre, secondo il proprio fabbisogno, di un considerevole organico dell’autonomia per tutte le scuole delle province venete. I tagli dei posti di lavoro, attraverso la riduzione drastica degli organici e i massicci dimensionamenti scolastici, avverrebbero inevitabilmente al sud, in Regioni come Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna.
Anche la mobilità dei docenti e del personale scolastico potrebbe avere, in caso di un pieno avvio dell’autonomia differenziata, una limitazione territoriale con l’impossibilità di potere presentare domanda di mobilità al di fuori dei confini della Regione di titolarità.
Pure la mobilità annuale interregionale, ovvero le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie su una qualunque provincia nazionale di ricongiungimento, potrebbe cessare di esistere.
Con il progetto della regionalizzazione dell’istruzione si tende a volere introdurre un vero e proprio sistema di gabbie salariali, attraverso il quale un docente del Nord potrebbe ritrovarsi con un compenso abbondantemente superiore ai 2.000 euro netti mensili (grazie alle indennità regionali). Ed uno del Sud, che rimarrebbe fermo ad uno stipendio di 1.300 euro.
I sindacati dicono che il progetto di secessione dei ricchi, portato avanti dal Governo M5E-Lega, non serve a risolvere i problemi delle scuole del nord, ma invece aggrava le difficoltà delle scuole del mezzogiorno, rompe l’unità del sistema di istruzione e introduce vere e proprie gabbie salariali.
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