Mentre l’attenzione era tutta per il Consiglio dei ministri, il ministero dell’Economia dava il suo via libera al piano di regionalizzazione del Veneto, con il sottosegretario Massimo Garavaglia e il governatore Luca Zaia che annunciavano la ratifica dell’accordo in CdM. Non si comprende ancora se si svolgerà nelle prossime ore, quindi il 14 febbraio, il giorno di San Valentino, alle ore 19. Oppure si rimanderà tutto al prossimo incontro di Governo. In ogni caso, poco cambierebbe: il progetto sembra ormai destinato ad imboccare la strada di un veloce iter legislativo.
L’impegno della Lega, del resto, è stato massimo. Mentre l’alleato di Governo, il M5S, se si eccettua qualche recente richiesta di chiarimento, se ne è fatto una ragione.
Si rimane, quindi, alle parole della senatrice Bianca Laura Granato (M5S), che qualche settimana fa aveva parlato di piano da attuare a “saldi invariati”, con “rispetto della perequazione nella distribuzione delle risorse sono i due ‘paletti’”, promettendo di opporsi a qualsiasi modello che ostacoli il “principio di sussidiarietà tra le Regioni”.
Probabilmente, però, nel M5S sono state poco considerate le conseguenze del suo tacito assenso. I sindacati, infatti, raccogliendo la forte contrarietà della maggior parte dei lavoratori, docenti in testa, proprio sulla regionalizzazione stanno ritrovando una compattezza che non si registrava da anni.
Intanto, l’elenco dei contrari e delle proteste alla regionalizzazione si sta arricchendo giorno dopo giorno. A fine mese, il 27 febbraio, si svolgerà lo sciopero Unicobas, a cui ha detto di volere aderire l’Anief e nelle ultime ore anche i Partigiani della scuola pubblica, con manifestazione nazionale a Roma. Qualche giorno dopo, l’8 marzo, il giorno della festa delle donne, replicheranno altre sigle sindacali come Cobas e USB.
Invece, venerdì 15 febbraio, entrerà in campo l’Unione sindacale di base, con un presidio davanti a Montecitorio, promettendo anche nuove mobilitazioni in giro per il Paese contro “un progetto di separazione, il cui vero scopo è mantenere il gettito fiscale all’interno delle regioni del Nord in assoluta violazione del principio di redistribuzione, ma la cui fonte è in buona parte costituita dai docenti “poco impegnati del Sud”, come direbbe il Ministro Bussetti, pronti a trasferirsi al Nord per consentire alla scuola di funzionare.
Il timore dell’Usb è che la regionalizzazione della scuola potrebbe determinare il passaggio del personale neo-assunto in capo alla Regione, creando un sistema a due velocità, con un pezzo di Italia che proverà a legare la scuola alle logiche europee del mercato e dell’impresa, in cambio di aumenti stipendiali (da quantificare) per pochi”.
Ma se il dossier sull’autonomia dovesse trovare l’assenso del CdM, come ormai sembra, entreranno in scena anche i sindacati maggiori. E non si esclude una protesta comune, con tutti i sindacati uniti nella stessa data.
La Flc-Cgil parla di “deriva disgregatrice e antinazionale”, contro la quale i lavoratori della Conoscenza si dicono “pronti chiamare alla mobilitazione e alla lotta il mondo della scuola in tutte le sue componenti, docenti, dirigenti, Ata, genitori e studenti, qualora il Governo dovesse perseverare in questo progetto che aggiungerebbe ulteriori disuguaglianze, divisioni sociali e culturali, a quelle che già affliggono il nostro Paese”.
Sempre per la Flc Cgil, “è falso che stipendi diversi fra regione e regione incentiveranno il personale. È falso che concorsi regionali favoriscono la stabilità”, ma anche che “sarà rispettata l’autonomia delle istituzioni scolastiche”.
“È vero invece – continua il sindacato guidato da Francesco Sinopoli – che il diritto all’istruzione non sarà più un diritto universale, che si bloccheranno la mobilità professionale e lo scambio culturale, che l’autonomia scolastica sarà violata da controlli regionali in netto contrasto con la previsione costituzionale. La stessa libertà di insegnamento, che è prima di tutto finalizzata al diritto all’apprendimento, sarà messa in dubbio dalla disparità di trattamento del personale a seconda della regione in cui si lavora”.
Pure gli altri Confederali si schierano contro. Per il il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, “l’istruzione è un bene pubblico inestimabile. Non si capisce come si possa pensare di negoziare i valori che tengono insieme il paese e i suoi cittadini”, ha detto.
Pochi giorni, invece, Flc-Cgl, Cisl Scuola, Uil Scuola, hanno scritto al premier Conte e ai presidenti delle Commissioni Istruzione di Camera e Senato, per denunciare “le gravi conseguenze legate al conferimento di maggiori poteri alle Regioni in materia di istruzione, come prevedono le intese che il Governo è in procinto di sottoscrivere sulla concessione della cosiddetta “autonomia differenziata”.
Un percorso che i sindacati, rivolgendosi al Governo, alle Commissioni Istruzione di Camera e Senato e ai Presidenti delle due Camere, chiedono di bloccare, rivendicando come indispensabile l’avvio di un ampio confronto nelle aule Parlamentari e nel Paese.
Nel novero degli oppositori, entra anche Link, il Coordinamento universitario. Secondo il coordinatore, Alessio Bottalico, “tra le varie materie che diventano di competenza regionale vi è quella del diritto allo studio. Siamo però da anni in attesa che a livello nazionale sia approvata una legge sui Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). Senza la definizione dei diritti minimi con i LEP su tutto il territorio nazionale, maggiore autonomia porterebbe al rischio di non riuscire a garantire le studentesse e gli studenti su tutto il territorio nazionale”.
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