Dopo il Consiglio dei ministri di venerdì scorso, caratterizzato dalle crescenti resistenze del M5S, cosa accadrà della regionalizzazione su cui la Lega punta tantissimo? Non è facile saperlo, perché il via libera tecnico all’autonomia differenziata non ha alcun valore se non suffragato dall’ok politico al progetto. E a sentire gli ultimi interventi dei “grillini”, la strada per raggiungere un accordo sembra ancora molto in salita. Non bisognerà comunque attendere ancora molto, perché il partito del Carroccio ha fretta e il confronto politico è previsto già per questa settimana.
Ad oggi, comunque, il M5S sembra rimanere sul punto. “Sono molto preoccupato dal fatto che venga sempre più indebolito lo Stato e soprattutto che lo si voglia indebolire sulle competenze che non possono che essere nazionali: penso alla scuola, ai beni culturali, all’ambiente, al lavoro, la sanità”, ha dichiarato il vicesindaco di Torino Guido Montanari in tema di autonomie, oggi a margine dell’assemblea dell’Anci regionale, dove è intervenuto al posto della sindaca Chiara Appendino.
“Su queste materie – ha continuato il vicesindaco del capoluogo piemontese – non c’è la possibilità di avere delle autonomie che creino delle Regioni di serie A e di serie B. Vorrebbe dire mettere in discussione tutti i diritti acquisiti, sanciti da un lato dalla Costituzione, dall’altra dalle pratiche di tantissime amministrazioni che fanno bene”.
Ammesso che il M5S alla fine ceda, il Governo comunque non avrebbe vita facile. Perché opposizioni e sindacati già annunciano battaglia.
“Sull’autonomia differenziata, l’inseguimento orgoglioso da parte di governatori e perfino sindaci del Mezzogiorno della deriva Nord leghista è autolesionistico e aggrava i rischi per l’Italia”, ha dichiarato Stefano Fassina, deputato di LeU.
“Al di là della perdente partita finanziaria e inevitabilmente amministrativa dato lo squilibrio di dotazioni infrastrutturali e produttive, è inaccettabile – ha continuato – l’attribuzione alle Regioni della scuola pubblica o delle funzioni di regolazione di materie fondamentali anche se, oltre a Veneto e Lombardia, la ottengono anche la Campania, la Puglia o Napoli città autonoma”.
Secondo Fassina, “va respinta la secessione dei ricchi anche se accompagnata dalla secessione dei poveri. L’Italia diventerebbe una mera espressione geografica di staterelli e città stato, colonie tedesche anche al Nord. Dobbiamo recuperare il sentimento costituzionale di patria al fine di dare sostanza etica all’articolo 3 della nostra Carta fondativa”.
Per l’ex dem, “l’Italia e il Mezzogiorno hanno bisogno di uno Stato nazionale forte, autorevole, capace di correggere gli squilibri territorio e definire e attuare, in un intenso negoziato internazionale, un programma per il Sud incardinato sul passaggio nel Mediterraneo della ‘via della seta’. Con le Zes e le decontribuzioni non si va da nessuna parte”.
“Al contrario – conclude Fassina -, va costruito da Milano a Palermo, un fronte di sindaci, governatori, amministratori, rappresentanze economiche e sociali, energie della cultura per fermare l’autonomia differenziata, non moltiplicarla, e definire prima di tutto i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni”.
E dell’esigenza di definire prima i Lep, aveva anche parlato alla Tecnica della Scuola la senatrice grillina Bianca Laura Granato.
A rilasciare dichiarazioni “forti” è anche Pino Turi, leader della Uil Scuola, che dopo avere ricordato il “documento sottoscritto dai sindacati e dalle associazioni che svolgono un’azione sociale e culturale importante e che nella scuola incrociano lo spaccato fedele e migliore della società, un documento per dire NO alla disgregazione del sistema di istruzione nazionale”, si è soffermato sull’importanza di avere una scuola con “elementi comuni”, all’interno della quale “accogliere, integrare e svolgere il ruolo di mediazione educativa dei valori di cui la società moderna vive: multiculturalità, multirazzialità, multireligiosità”.
La scuola, ha continuato Turi, non ha bisogno di “un meccanismo di presunto efficientismo di stampo neo liberista, basato sulle regole di mercato. Regole che per loro natura escludono i più deboli ed esaltano i più forti. Sono valori e principi che possono andare bene per l’economia, ma non per la scuola che per sua natura deve fare esattamente il contrario: includere tutti e mettere i più deboli in condizione di potere avere pari opportunità”.
Turi sa bene che la Lega non “mollerà”: per questo motivo, si aspetta “una battaglia lunga e difficile, con avversari agguerriti e con una politica balbettante non sempre in grado di tutelare i valori della costituzione. I sottoscrittori del documento sono chiamati ad una responsabilità che non è solo sindacale, ma culturale e civile”.
E “serve unità di intenti”. Quindi, continua, “in questo senso ci sentiamo di lanciare un appello a tutti ed in particolare alle forze sindacali. #restiamouniti, è l’hastag scelto per connotare il documento anti regionalizzazione”.
“Restiamo uniti – dice ancora il sindacalista – negli intenti e nelle azioni e chiediamo la sottoscrizione del documento a quanti, come noi, hanno a cuore la scuola e il futuro di questo paese”.
Il leader della Uil Scuola, quindi, già pensa ad una mobilitazione unitaria, dopo aver criticato però lo spezzettamento della protesta: “Dall’inizio dell’anno scolastico ci sono stati otto scioperi, con adesioni dallo 0,25% al massimo del 1,2%, e altri due sono programmati nei prossimi giorni. La scuola e il personale non vivono bene questi giorni, per ragioni diverse, intrinseche alla loro funzione”.
“Non è frammentando le proteste che si avvicinano i risultati. Nell’orizzonte temporale dell’iter dell’autonomia differenziata non escludiamo anche uno sciopero che dovrebbe avere uno spazio di partecipazione più ampio possibile. Non pensiamo a somme algebriche di rappresentanza e protesta. Siamo convinti – conclude – che occorra grande responsabilità civile, politica e sindacale”.
L’impressione è che si possa andare a ricostituire quell’unità di idee che nel maggio del 2015 portarono al maxi-sciopero contro la riforma Buona Scuola di Renzi.
Nel frattempo, si comincia a quantificare l’adesione ad un’eventuale regionalizzazione approvata: dirà di sì al progetto almeno un quinto del personale totale della scuola, che conta un milione di persone, potrebbe passare alle tre regioni del Nord che chiedono maggiore Autonomia. Il calcolo, realizzato da Tuttoscuola, si basa anche sul supposto aumento di stipendio di circa 400 euro mensili di cui si parla in queste settimane.
In questo caso, sempre secondo il portale, “è facile prevedere che nei prossimi anni vi sarà un esodo di massa dallo Stato alle Regioni di dirigenti scolastici, docenti e personale ATA.
Potrebbero chiedere di lasciare lo Stato per diventare dipendenti regionali circa 225 mila persone, pari al 22% dell’intero personale scolastico statale.
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