Non solo famiglie tradizionali Verona: il 6 aprile nella città scaligera si aprirà anche la “Conferenza Nazionale per il ritiro di qualunque progetto di regionalizzazione dell’istruzione”. La organizza il “Manifesto per il ritiro della riforma dei cicli e la difesa della scuola pubblica” (o “Manifesto dei 500”), che dal 1999 riunisce cittadini, docenti, genitori nella difesa della Scuola pubblica.
La regionalizzazione incombe sulla Scuola come un asteroide su un pianeta, ma la maggior parte degli insegnanti non pare accorgersi del pericolo. Presi dagli ingranaggi implacabili della scuola aziendalizzata ex lege 107/2015 (spiritosamente definita ”Buona Scuola” da chi la introdusse), i docenti si preoccupano più del nuovo esame di maturità, dei corsi di aggiornamento e dei viaggi d’istruzione che non del proprio futuro (che è poi il futuro della Scuola stessa). Molti non si sono nemmeno accorti che il 27 febbraio c’è già stato uno sciopero nazionale contro la regionalizzazione (indetto dal solo Unicobas, ma cui aderì anche ANIEF), né che sullo stesso argomento il 15 febbraio tutti i 7 maggiori sindacati (compresi CGIL, CISL, UIL, UNICOBAS e COBAS) e molte associazioni hanno firmato un documento comune che contiene parole forti. Fatto senza precedenti.
Il documento sostiene infatti che, con l’avvento dell’autonomia regionale ulteriormente rinforzata, «Vengono meno principi supremi della Costituzione racchiusi nei valori inderogabili e non negoziabili contenuti nella prima parte della Carta costituzionale, che impegnano lo Stato ad assicurare un pari livello di formazione scolastica e di istruzione a tutti, con particolare attenzione alle aree territoriali con minori risorse disponibili e alle persone in condizioni di svantaggio economico e sociale». Ciò incancrenirebbe — secondo i sindacati — ancor più il divario Nord-Sud, smentendo gli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione (fondamento del principio di uguaglianza), e ledendo la libertà d’insegnamento.
Non si comprende allora come mai gli stessi Sindacati “maggiormente rappresentativi” esitino a indire uno sciopero generale unitario che certamente metterebbe forti bastoni tra le ruote dell’attuale Governo e non gli permetterebbe di attuare la regionalizzazione a cuor leggero, avendo contro tutti i Sindacati dei lavoratori (dodici milioni di iscritti tra le sole CGIL, CISL e UIL). Forse l’esitazione è dovuta al fatto che Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto (latrici della richiesta di ”autonomia differenziata) sono proprio le regioni con più iscritti alla CGIL (circa due milioni)? Ma non sarebbe proprio questo un buon motivo per informare e mobilitare quegli stessi iscritti contro un progetto che i sindacati (tutti) aborrono?
Nell’attesa delle decisioni dei Sindacati che contano, movimenti e associazioni di base si muovono. Difatti l’avversione alla regionalizzazione è condivisa e ben spiegata dal documento del “Manifesto dei 500” (dal significativo titolo “Divide et impera”), che invita docenti e cittadini riflettere su 20 domande e sulle relative risposte. Con considerazioni allarmanti come questa: «Il nome “autonomia differenziata” nasconde un processo che aprirebbe la porta a “20 piccole Italie”, diverse tra loro, in lotta tra loro. Lo smembramento riguarda tutti i cittadini, perché porterebbe alla fine dei contratti nazionali, dei diritti uguali per tutti, dei servizi pubblici nazionali, di gran parte della legislazione nazionale. E’ in questo contesto che si inserisce lo smembramento della scuola della Repubblica». La libertà d’insegnamento sarebbe negata nei fatti «con le assunzioni dirette, il salario al merito, i concorsi sempre più locali, la possibilità di licenziare». Le Regioni, nuovi datori di lavoro di docenti e ATA, sarebbero libere di giocare «al ribasso per i contratti, per i diritti, per le protezioni sociali».
Gli orari di lavoro potrebbero aumentare a discrezione delle Regioni stesse. Non avendo più la tutela di un Contratto Nazionale, tutti i lavoratori della Scuola sarebbero indifesi, perché divisi mediante venti contratti differenziati. Con conseguente crollo del potere d’acquisto (perché la concorrenza regionale genererebbe una corsa al ribasso dei salari per “contenere i costi”). Per non parlare degli effetti nefasti sull’unità nazionale e su settori come la Sanità, definitivamente distrutta e/o privatizzata.
Ai lavori di Verona interverrà Marco Esposito, autore del saggio “Zero al Sud. La storia incredibile (e vera) dell’attuazione perversa del federalismo fiscale”. Relatrice anche Floriana Cerniglia, docente ordinaria di Scienze delle Finanze all’Università Cattolica di Milano. Coordinano la docente Rossella Latempa e il Dirigente Scolastico Lorenzo Varaldo.
La conferenza è promossa, tra gli altri, dalle docenti Anna Angelucci (presidente “Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica”) e Marina Boscaino (“LIP Scuola”), da Renata Puleo (ex Dirigente Scolastica, gruppo “No Invalsi”), nonché dal “Coordinamento veneto per la democrazia costituzionale”.
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