Allora, come annunciato, niente assunzione regionale dei docenti.
E la cosa viene presentata con tratti trionfalistici, al ministero e dal premier, mentre una cosa non la si sa. Che a Trento e a Bolzano è da anni che si fa questo.
Nell’accordo sulla autonomia, cioè, salta quello che in Trentino già avviene da anni.
Credo vi siano tanti equivoci sulla autonomia e tanti giochi lontani dalla realtà. Autonomia significa responsabilità sussidiaria.
Forse si doveva approfondire meglio questo percorso dell’autonomia, con le sue implicazioni, dalla 1994 ad oggi, cioè dall’art.4 della finanziaria 1994, con ministro la Iervolino. Per poi arrivare alla grande stagione Berlinguer sino alla riforma del Titolo V della legge n.3 del 2001, in alcuni casi male applicata, tanto da provocare un centralismo poi regionale.
Ma perché buttare via con l’acqua sporca anche in bambino?
Su standard nazionali, e forme eque di perequazione, al nostro Paese manca proprio una sana autonomia, quella sussidiaria.
E si è preferito lasciarla alla maldestra interpretazione, di diverse parti.
Invece di laicizzarla, cioè di liberarla dai vessilli partitici, l’hanno trasformata in una bandiera di parte, e così alla fine ne è risultata snaturata. Tanto da essere accusata di mettere a repentaglio l’unità nazionale, cioè un sistema nazionale di istruzione, per limitarsi alla scuola.
Se fatta sul serio, con un sistema di valutazione terzo, l’autonomia domanda invece responsabilità, è responsabilità.
Mentre il nostro Paese vive sulla irresponsabilità, compresa l’assenza di certezze del diritto.
Basta vedere i concorsi sui presidi, e sul personale nel loro complesso. Ricorsi su ricorsi.
Ma si sa cosa vuol dire autonomia?
Basta un po’ girare per l’Europa, per capirci meglio.
Perché averne tanta paura?
Perché lasciare tutto nelle mani del centralismo ministeriale, cioè di chi la scuola non l’ha mai vista?
Perché i due presidi responsabili, ministro e sottosegretario, si sono nascosti, ed hanno preferito alla verità la mera appartenenza partitica?
Dove è il loro valore aggiunto?
Non è così che si costruisce la solidarietà nazionale, un destino comune.
Destino comune è quando ciascuno è coinvolto in un senso di comunità nel quale conta l’effettiva qualità del servizio, non quella nascosta dietro alle certificazioni, alle valutazioni, alle mille carte e protocolli, cioè, in realtà, quando la domanda di qualità di un “servizio pubblico” viene scaricato sugli anonimi algoritmi.
Una comunità civile cresce sul pensiero positivo, sulla fiducia reciproca, sulla certezza del diritto e della pena, non sul pensiero negativo, sulle logiche del sospetto.
Che cosa insegniamo ai nostri ragazzi, in fondo?
Ma lo insegniamo, od ognuno fa come gli pare, secondo il dettato costituzionale, magari in nome dell’individualistica libertà di insegnamento, interpretata ancora in senso negativo?
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