Sulla regionalizzazione si sta venendo determinare una forte contrapposizione tra M5S e Lega. Non solo in Consiglio dei ministri, dove la partita si è arenata a metà febbraio. E’ la scuola, ancora una volta, il terreno dove il conflitto si fa più aspro. In particolare, per via dei concorsi che il Carroccio chiede di rendere regionali, includendo il domicilio professionale tra i titoli obbligatori per l’accesso alle selezioni pubbliche e prevedendo anche almeno cinque anni di permanenza nella regione dove si è entrati in ruolo.
Il disegno di legge, che ha come primo firmatario il senatore leghista Mario Pittoni, presidente della VII Commissione di Palazzo Madama, rientra nel progetto sul nuovo reclutamento della scuola, presentato in Parlamento dalla Lega, e raccolto da tempo anche dal vicepremier Matteo Salvini.
E trova adepti anche in altri comparti pubblici. Anzi, la ministra della Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, vorrebbe estenderlo in tutto il pubblico impiego: la modalità, ha spiegato la Bongiorno, servirebbe anche a dare maggiore stabilità al personale e continuità all’attività pubblica, riducendo sensibilmente le continue richieste di spostamento, anche interprovinciale, dei dipendenti.
La volontà leghista, però, non è bene accetta dal popolo “grillino”. Il quale vorrebbe mantenere la possibilità di accedere ai concorsi così come è oggi, slegando la possibilità di svolgere le prove dal centro fisico dei propri interessi e quindi da dove si svolge la propria vita privata.
A sancire questo principio non è una legge qualsiasi, dicono dal M5S, ma è la madre di tutte le leggi italiane: la Costituzione.
A farsi portavoce di questo pensiero è stato Luigi Di Maio, leader del movimento pentastellato, vicepremier e ministro del Lavoro: “Io rabbrividisco quando sento di insegnanti che devono fare dei concorsi regionali con programmi di insegnamento regionali e con stipendi diversi da altri insegnanti d’Italia. La Repubblica è unica e indivisibile, come il nostro sistema di istruzione”, ha sottolineato Di Maio rispondendo a una domanda sul tema a margine di un incontro con gli imprenditori a Carpi.
Poi, ha ribadito che la regionalizzazione non è un mito da sfatare, ma un progetto fattibile. Solo che va realizzato con condizioni diverse: “L’autonomia si deve fare, le regioni che lo chiedono devono avere l’autonomia, ma non a discapito degli altri”.
“Lombardia e Veneto – ha ricordato Di Maio- hanno fatto dei referendum per chiedere l’autonomia, mentre l’Emilia Romagna ha avuto un’iniziativa che viene direttamente dalla giunta regionale. Ma credo che comunque non sia da meno e vada rispettata come richiesta. Io non credo però che gli emiliano-romagnoli vogliano un’autonomia che spacca l’Italia in due o in tre, che crea una sanità o una istruzione di serie A, B o C”, ha concluso il leader grillino.
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