Nel 2013 la Corte Costituzionale aveva già dichiarato l’incostituzionalità della legge lombarda, non per la chiamata diretta dei docenti ma bensì perchè la Regione aveva invaso una precisa competenza statale.
La questione della cosiddetta “chiamata diretta” dei docenti torna spesso, più o meno a proposito, nel dibattito sulla riforma della scuola.
Soprattutto dopo le ultime dichiarazioni del presidente Mattarella è ritornata a galla la “vecchia” questione della legge della Regione Lombardia; il “rimprovero” che viene rivolto al Presidente è semplice ma stringente: “Caro Presidente, tu sei quello che nel 2013 hai fatto da relatore alla Consulta per dichiarare l’illegittimità costituzione della legge lombarda, adesso come puoi firmare a cuor leggero firmare la legge di riforma sulla scuola che prevede proprio la chiamata dagli albi da parte dei dirigenti scolastici?”
Accusa simile viene rivolta anche alla senatrice Puglisi che a suo tempo si era spesa non poco per contrastare la legge lombarda e che oggi, invece, è una delle più accese sostenitrici del nuovo meccanismo di assunzioni e di assegnazione dei docenti alle scuole.
Ora, per amore di verità e per dovere di cronaca, bisogna dire che la questione della legge della Regione Lombardia non c’entra davvero molto.
Tale legge, infatti, era stata dichiarata incostituzionale per motivi che nulla hanno a che vedere con la questione della chiamata diretta (basta rileggere la sentenza della Corte n. 76 del 22 aprile 2013 per rendersene conto: le motivazioni hanno nulla a che fare non con il meccanismo di assunzioni ideato dalla Regione lombarda (concorsi banditi dalle singole istituzioni scolastiche). La motivazione è riassunta tutta nelle ultime parole della sentenza: la legge lombarda violava l’articolo 117, secondo comma lettera g) della Costituzione. In altre parole la legge non rispettava il criterio di ripartizione fra Stato e Regioni delle competenze in materia di istruzione.
Detto a margine, i ricorsi alla Consulta contro la legge 107 che potrebbero proporre adesso le Regioni (si parla già di un ricorso del Veneto) saranno certamente centrati su possibili invadenze di campo da parte dello Stato nei confronti delle prerogative regionali. Nessuna regione chiamerà in causa né la figura del “preside sceriffo” né tanto meno il tema della valutazione dei docenti, come da più parti si sta sperando.
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