Animatori digitali, laboratori, strumenti informatici, didattica innovativa, larga banda: a che punto è la conversione al digitale della scuola italiana? Diciamo subito che preoccupano i dati sull’attuazione dell’innovazione tecnologica
La fotografia dello stato della scuola digitale in Italia è al momento la foto di una serie di promesse non mantenute, e il fatto che Il PNSD (Piano Nazionale della Scuola Digitale) stenta a decollare, lo confermano i dati di una rilevazione effettuata dall’Osservatorio Digitale, tramite un questionario inviato ai dirigenti scolastici con la richiesta di fornire una serie di indicazioni sulle scuole che gestiscono. La rilevazione escludeva le scuole d’infanzia, le scuole ospedaliere e quelle carcerarie.
I dati divulgati dall’agenzia AGI che ha fatto richiesta di accesso civico al ministero dell’Istruzione, anche se parziali (in quanto sono stati coinvolti nella consultazione dell’Osservatorio del Miur in totale 27.458 plessi scolastici, di cui 22.200 del I ciclo e 5.258 del II ciclo, ma i dati disponibili sono ancora relativi soltanto a circa una scuola su tre, cioè da 8088 scuole del I ciclo e 891 del II ciclo), destano preoccupazione perché in alcune aree chiave del piano, quali la connettività la didattica e l’ organizzazione, mostrano una situazione ancora abbastanza lontana dagli obiettivi iniziali prefissati dal progetto.
A testimonianza di un cambio di marcia del processo di cambiamento nella scuola italiana ancora non avvenuto.
Nonostante gli sforzi messi in campo negli ultimi due anni, dunque, la fotografia sbiadita della digitalizzazione della scuola italiana rappresenta purtroppo fedelmente la lentezza con cui si è investito in innovazione e tecnologia nel nostro Paese.
Partiamo l’analisi dalla connettività, fondamentale per consentire l’uso della didattica digitale. La rete a banda larga non arriva ancora in tutte le scuole. E quella ultra veloce (in fibra per intenderci) arriva solo in poche migliaia di plessi in tutta la penisola.
La situazione ad oggi è quindi complessivamente poco soddisfacente: secondo i dati divulgati da Agi, infatti “la fibra raggiunge in media il 13% dei plessi (alla porta della scuola). Sarebbero infatti 1134 le scuole che dichiarano di avere la fibra, di cui 889 del primo ciclo e 225 del secondo ciclo”.
La copertura a livello nazionale è molto eterogenea, si passa dall’Emilia Romagna con circa il 35% di copertura a regioni come il Molise che hanno dichiarato lo 0. I motivi di questa situazione poco rosea sono ascrivibili al fatto che le spese di connessione pesano sul bilancio della singola scuola in modo rilevante mentre si è ancora in attesa dello sblocco dello stanziamento di 10 milioni di euro previsto a partire dal marzo 2016 per il “canone per la connessione a Internet”.
Il piano nazionale prevede il completamento della copertura in banda ultralarga delle scuole entro il 2020, quindi per molti istituti è chiaro che un’efficace attuazione del PNSD non potrà essere realizzata prima dei prossimi tre anni.
Da rilevare, inoltre, il fatto che la connettività non è indice di aule cablate, cioè l’effettivo utilizzo massivo di internet è legato al cablaggio interno tra le varie aule. Sono solo circa 1500 i Plessi che hanno il cablaggio interno già realizzato, negli altri casi andrà previsto.
Un altro sensore dello stato di salute della scuola digitale è l’utilizzo del registro elettronico.
Dai dati forniti dal Miur risulta che solo poco più di 4.000 istituti italiani, quindi uno su due, ha attivato il registro elettronico del docente. Al primo posto c’è l’Emilia-Romagna, con il 57% degli istituti attrezzati e avviati all’uso del registro elettronico, seguita dalla Puglia, Liguria, Basilicata e Campania.
In questo caso, le ragioni di questa lentezza sono legate a diversi fattori tra i quali la completa delega a ciascuna scuola dell’onere di individuare la soluzione informatica ed organizzativa per rendere fattivo l’utilizzo del registro elettronico e la presenza non sempre sufficiente di competenze tra i docenti, oltre che di attrezzature e come abbiamo detto di connessione ad internet.
Il registro elettronico è un documento pubblico e rientra nel pacchetto di strumenti con cui la scuola comunica verso l’esterno, in particolare verso le famiglie degli studenti nella direzione della demateralizzazione su cui è coinvolta tutta la Pubblica Amministrazione. Purtroppo nonostante la maggior parte delle Scuole si siano dotate del proprio Sito Web , ancora per il 61% delle stesse la comunicazione verso le famiglie avviene solo con strumenti cartacei.
Un altro aspetto importante che va oltre la disponibilità di attrezzature è la diffusione di percorsi di sviluppo del pensiero computazionale (coding), cioè l’insegnamento della logica che è anche alla base della programmazione in codice. I dati presentati dal MIUR oltre ad essere eterogenei per specifica regione, non spiegano come effettivamente il coding sia integrato nella didattica standard.
Ci sono scuole che hanno attuato progetti molto evoluti fino ad arrivare alla programmazione di robot, con altre che non hanno avviato neanche il percorso annunciato dall’ex ministro Giannini che prevedeva 60 ore di formazione a studente sulla programmazione.
In assenza di strumenti digitali ad uso degli studenti, un fattore che potrebbe fare la differenza sarebbe quello del BYOD (bring your own device), letteralmente l’utilizzo del proprio smartphone i tablet nei percorsi didattici. Le numerose e diverse piattaforme “cloud “ gratuite o messe a disposizione dal MIUR azzerano di fatto l’importanza dello strumento che serve quindi solo per accedere alla piattaforma, su cui poi tutti potrebbero lavorare con le stesse potenzialità.
In questi casi la differenza può farla il docente con la sua capacità di focalizzare l’attenzione e l’energia degli studenti sul lavoro di classe durante le ore di scuola.
In conclusione possiamo sicuramente affermare che i dati del sondaggio evidenziano una fotografia ancora molto sbiadita della scuola 2.0 italiana.
Un cambiamento che sicuramente è partito anche se lentamente con alcuni risultati alternanti, con specifici casi di esperienze di scuole che hanno innescato il turbo come in Emilia Romagna, Puglia e Campania sorretti dal forte spirito di iniziativa ed intraprendenza dei docenti, in grado di sfruttare i vari fondi messi a disposizione come i PON o i FESR (Fondo Europeo per lo sviluppo Regionale); mentre ci sono Regioni che vedono nelle loro città principali (vedi Milano e Torino) l’apice dell’evoluzione digitale con un trend di utilizzo medio nei restanti territori, e altre regione ancora sostanzialmente ferme al palo come il Lazio , la Sardegna e il Molise.
Al momento complessivamente quindi, la scuola italiana rimane tra le ultime in Europa come competenza digitale e anche come cambiamento culturale alla trasformazione della scuola stessa, basti vedere le polemiche sorte dietro l’ipotesi dell’utilizzo in classe degli smartphone.
Rimane tanto lavoro da fare, in attesa di avere da parte del MIUR una rilevazione più approfondita e articolata che fornirà indicazioni importanti a studenti e docenti per completare il percorso di cambiamento avviato. Parallelamente sarà importante riportare sempre la “questione scuola digitale” al centro delle politiche nazionali perché questo possa diventare uno dei pilastri della ripresa sociale ed economica del nostro Paese.
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