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Registro elettronico, la Gilda di Pisa: “Nella forma attuale rallenta il lavoro dei docenti”

La Gilda degli Insegnanti di Pisa, con una nota, risponde al documento della CO.DIS.CO. (Conferenza Dirigenti Scolastici provincia di Pisa). sull’uso del registro elettronico.

Leggiamo con vivo interesse il documento della CODISCO sul registro elettronico pubblicato su Tecnica della Scuola.

Le modalità con cui questo strumento è stato introdotto  nelle scuole sono sempre state oggetto di interesse da parte della Gilda degli Insegnanti, da sempre attenta alla funzione docente, nella sua espressione individuale e collegiale, non solo in un’ottica di gestione democratica della “comunità educante”, ma anche nel senso del riconoscimento e del rispetto della competenza tecnica specifica dei docenti e della loro piena responsabilità nelle scelte didattiche, tra le quali certamente rientra quella dei documenti di supporto all’attività in classe, quali i registri personali, e ogni altra forma di documentazione (moduli per le programmazioni e per le attività svolte, griglie o rubriche di valutazione, ecc.), ovviamente nel rispetto dei requisiti previsti dalle norme vigenti.

Dobbiamo ammettere che salta immediatamente all’occhio, in questa fase di attuazione della normativa sulla dematerializzazione nella scuola, l’assenza di un vero confronto sindacale, malgrado l’adozione di misure organizzative che impattano in misura notevole sulla prestazione del lavoro dei docenti. Abbiamo infatti numerose testimonianze di disagi causati vuoi dallo scarso segnale di rete, vuoi dalla carenza della strumentazione disponibile, vuoi dall’intasamento dei server (le centinaia di migliaia di accessi contemporanei alle ore otto del mattino mandano spesso in crisi anche le migliori piattaforme), vuoi dalla farraginosità delle procedure, che ben lungi dal perseguire gli obiettivi di “efficienza, efficacia ed economicità” sembrano, con tutta evidenza, la vittoria della più arretrata burocrazia su ogni timido tentativo di perseguire una vera modernizzazione; con il paradosso che l’uso delle più moderne tecnologie raggiunge come risultato il più alto grado di inefficienza.

Dispiace vedere come si diano interpretazioni manichee delle voci di dissenso più competenti nei confronti di questa forma di registro elettronico, nata già obsoleta (si parla infatti di generica “diffidenza nei confronti della tecnologia); voci che, invece di essere considerate come “sabbia negli ingranaggi”, al contrario dovrebbero essere considerate preziosi contributi per il miglioramento di un prodotto commerciale che nella sua forma attuale rallenta e ostacola il lavoro docente.

Il corpo insegnante ha, all’interno dei comparti del pubblico impiego,  uno tra i più alti livelli di istruzione; al suo interno sono presenti specifiche competenze di tipo informatico, sia quelle più diffuse, istituzionalmente riconosciute all’interno del profilo professionale (ipotesi di Contratto nazionale di lavoro, art. 27), sia competenze più approfondite; basti pensare ai docenti di informatica e, in parte, di matematica, e altri che pur non insegnando la specifica materia “informatica” hanno nel loro curriculum studiorum corsi approfonditi di informatica teorica e di programmazione.

Per questa tipologia di dipendenti, senza la minima richiesta di un parere, e in assenza di qualsivoglia confronto sindacale, le scuole hanno scelto non tanto un “registro elettronico”, ente in sé astratto se privo di ulteriori specificazioni, ma un determinato registro elettronico, di una determinata marca, e con una determinata “customizzazione” (ci si lasci passare il termine, orribile, ma efficace in ambito informatico): tutte scelte che dovrebbero essere sottoposte al vaglio di discussioni e delibere dell’unico organo tecnico responsabile delle scelte didattiche, ovvero il Collegio dei Docenti, informandolo opportunamente e correttamente delle opzioni disponibili sul mercato e della necessità, prevista dalla legge, della completa interoperabilità con i software di segreteria. Riteniamo che in molti casi questo non sia avvenuto; siamo  disposti a ricrederci, se dagli ordini del giorno e dai verbali dei collegi docenti dovesse risultare il contrario. Nell’ottica reale del miglioramento continuo, non c’è niente di peggio che l’inibizione della critica e del confronto, che diventa del tutto controproducente se rivolta a soggetti specificamente competenti nel settore; in questo modo “passano” prodotti mediocri, disfunzionali alle necessità della didattica e non rispettosi dei suoi tempi, producendo, di fatto, una persistente e perdurante “molestia burocratica”.

I quarti d’ora che quotidianamente circa 500.000 docenti perdono nell’80% dei 40000 plessi delle scuole italiane, per lottare contro gli attuali registri elettronici costituiscono di fatto una colossale interruzione di pubblico servizio essenziale.

Non entriamo nel merito della questione della firma elettronica/digitale, che lasciamo a pareri legali più esperti del nostro; ci stupisce però la menzione, da parte del documento della CODISCO, dell’art. 2702 del codice civile, il quale, come da essi stessi ammesso, si riferisce alle scritture private;  siamo convinti che gli atti certificativi delle presenze degli studenti prodotti dai docenti in un registro scolastico costituiscano un atto pubblico da essi prodotto in qualità di pubblici ufficiali, e non scritture private, in ciò confortati da una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3004 del 1999.

Due sole precisazioni per concludere: la prima riguarda la supposta cogenza dell’art. 7  del DL n. 95/2012, che è stato citato solo nella parte in cui prevede l’adozione di registri elettronici (comma 31), mentre si è taciuto il precedente comma 27 (che a nostro avviso costituisce un antecedente logico del successivo comma 31), che prevedeva l’emanazione, entro 60 giorni, di un piano di dematerializzazione da parte del MIUR, che non è mai stato emanato.

Ma lungi dal voler essere questa considerazione un pretesto per propugnare un ritorno al passato cartaceo, è nostra precipua preoccupazione che le deliberazioni degli organi collegiali siano assunte dietro una corretta e rispettosa informazione, e non sulla base di urgenze supposte e imposte, e di condizionamenti di natura incomprensibile.

Proprio nel mondo della scuola abbiamo appreso l’esistenza di leggi cogenti (divenute tali a seguito dell’emanazione delle previste disposizioni applicative) e leggi che, in mancanza di tali disposizioni, restano silenti, anche per lunghi anni, non ultima quella della riforma degli organi collegiali territoriali, risalente al 1999, che ha avuto la sua prima attuazione dopo ben 16 anni, nel 2015, con la costituzione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.

Una seconda e ultima puntualizzazione ci preme sottolineare, che è collegata con un filo rosso a tutta la vicenda dei registri elettronici, e al modo in cui sono stati scelti e introdotti nelle scuole: la supposta equazione “Datore di lavoro=D.S.”.

Avremmo preferito “DS, in funzione di datore di lavoro”; i docenti infatti non sono dipendenti di un DS datore di lavoro, ma sono funzionari alle dipendenze dello Stato; lo Stato poi attribuisce alcune (e non tutte!) funzioni datoriali ai dirigenti scolastici, tra le quali la gestione della sicurezza. Ed è forse in questa errata supposizione di fondo la causa di tanti malintesi, che confidiamo si possano risolvere nel breve periodo con un confronto costruttivo, in cui vengano riconosciute ai docenti le prerogative, e le competenze tecniche e professionali necessarie per poter scegliere nel modo più vantaggioso per le istituzioni scolastiche uno strumento che al momento francamente non ci appare all’altezza del compito che dovrebbe svolgere.

Ci riserviamo di avanzare proposte operative concrete nelle opportune sedi di confronto, anche se riteniamo che il soggetto elettivamente deputato a questo tipo di valutazioni non sia il sindacato, ma il Collegio dei Docenti.

Redazione

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