La didattica continua, per via del precario e difficilmente recuperabile stato di salute del sistema scolastico britannico, rischia di essere per molti studenti un vano e flebile ricordo. Le continue interruzioni delle lezioni dello scorso triennio legate, in misura maggiore, alle disposizioni sanitarie atte al contrasto del rischio epidemiologico da COVID-19, si sommano alle proteste sindacali che danno spazio e voce ad un malcontento diffuso dei lavoratori della scuola e del corpo docente, che si confrontano quotidianamente con rincari, bassi stipendi, mobilità eccessiva e non coperta e tagli di fondi destinati all’istruzione. Gli effetti si calcolano direttamente, ed in prima linea, sulla qualità delle attività e didattica erogata: meno laboratori e corsi professionalizzanti negli istituti, riduzione delle ore di attività sportive per assenza o mancata manutenzione di infrastrutture sicure, agibilità parziale degli edifici e ridimensionamento delle campagne di supporto agli studenti delle famiglie in difficoltà, a rischio elevato di dispersione. Il ‘New Deal’ annunciato dall’esecutivo britannico circa un adeguamento dei fondi al settore scolastico pubblico ha sì calmato i sindacati ma non ha convinto il cuore pulsante di quei docenti che amano la professione e la vedono come una missione, sempre più complessa da perseguire.
Il più grande sindacato comune dei docenti della Scozia sta pianificando scioperi che potrebbero chiudere le scuole in tutto il paese il mese prossimo. I membri dell’Unison hanno sostenuto l’azione in 24 delle 32 aree comunali dopo aver rifiutato un aumento salariale medio del 5,5% proposto dal governo centrale britannico. Gli scioperi riguarderanno la ristorazione, le pulizie, il sostegno agli alunni, l’amministrazione e il personale delle pulizie nelle scuole e nei centri della prima infanzia. Glasgow, Edimburgo, Aberdeen e Dundee saranno tra le aree duramente colpite. Nessuna data è stata ancora confermata, ma il comitato del governo locale di Unison si incontrerà la prossima settimana per preparare gli scioperi e stilare gli ordini in accordo con la normativa locale. Cosla, segretario dell’unione, ha affermato che l’offerta salariale realmente “significativa” rappresenterebbe un aumento medio del 7%, con gli impiegati locali meno pagati che ricevono un aumento di oltre il 9%. Anche gli altri due sindacati più grandi, GMB e Unite, hanno piani di azione in diverse parti del paese. “L’ultima cosa che vogliamo fare è interrompere l’istruzione e la didattica“, ha dichiarato Cosla ai microfoni di Drivetime BBC Radio Scotland. “Ci hanno lasciato senza scelta. La politica salariale del settore pubblico del governo (prima scozzese e poi centrale) non fa alcun riferimento all’inflazione, né all’aumento del costo della vita che i membri devono affrontare. E per anni i membri sono stati sottovalutati e sottopagati”.
Una buona parte delle sigle sindacali europee condivide ed accusa gli esecutivi di non provvedere ad un piano di bilancio attivo per l’istruzione pari alle reali esigenze dei rispettivi sistemi, già in sofferenza. I docenti italiani, estremamente indietro a livello salariale rispetto agli omologhi europei, accusano problemi di ordine didattico (violenza in aula, classi pollaio ingestibili), burocratico ed amministrativo (taglio delle scuole autonome, fondi dedicati alle attività didattiche alternative, mobilità del personale bloccata, organici sempre più ridotti all’osso) ed infine, non per rilevanza, economici (uno stipendio decisamente inadeguato all’inflazione e ai rincari del periodo). L’assenza di linee guida chiare e trasparenti circa la gestione dell’emergenza sanitaria, fonte indiscussa di stress per il sistema scolastico già in crisi, ha aumentato il malcontento.
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